In morte di monsignor Francesco Nolè, il vescovo frate che coltivava la semplicità

Il presule, poco prima di morire, ha chiesto espressamente di essere seppellito con addosso il saio francescano. Apposti i sigilli all'appartamento episcopale

COSENZA – Pomeriggio di lavoro ordinario in redazione. Tra lanci d’agenzia da tenere d’occhio, note stampa appena arrivate e notizie che aspettano di essere verificate. Come sempre, il collega Marco Garofalo è seduto di fronte a me. Al ticchettio veloce delle tastiere dei nostri computer, s’unisce il suono (inconfondibile) della notifica di un nuovo messaggio che gli arriva. Marco cambia espressione d’improvviso, poi sussurra: “E’ morto il vescovo Nolè”. Ci guardiamo increduli. Lo smarrimento dura un attimo. Bisogna al più presto cercare conferma. La direttrice Simona Gambaro raccomanda prudenza. Compongo il numero di don Enzo Gabrieli, responsabile dell’Ufficio per le comunicazioni sociali della diocesi di Cosenza. Il suo telefono suona a lungo. Sto quasi per riattaccare quando, dall’altra parte, mi giunge all’orecchio la voce rotta dall’emozione del sacerdote. Chiamavo per sapere di monsignor Nolè, esordisco. Don Enzo risponde: Il vescovo è morto”. Poi riattacca, per non sottrarre altro tempo alla stesura del comunicato ufficiale che stava giusto preparando. Quando l’annuncio arriva a tutte le altre testate, la notizia è già online sul sito di QuiCosenza da diversi minuti. Subito una miriade di dichiarazioni pubbliche invade la casella di posta elettronica del giornale.

Intanto, il cuore antico della città sonnecchia. I locali e i negozi che s’affacciano su corso Telesio sono ancora chiusi. Dentro la maestosa cattedrale, muniti di auricolari per la traduzione istantanea, turisti tedeschi e svizzeri ascoltano estasiati una storia lunga ottocento anni. In sacrestia, il diacono Maurizio Milito è pronto a celebrare il rito dell’adorazione. Il volto contratto dal dolore, lo sguardo bagnato di lacrime: è come se volesse scappare lontano. Studenti della sezione distaccata del Conservatorio mangiano un gelato al tavolino di un bar. Uno del gruppo interrompe la risata fragorosa dell’amica: “Dai, è appena morto il vescovo”. La notizia, ormai, ha fatto il giro del web. Nell’androne dell’antico palazzo che ospita la Curia, riposte dentro a un contenitore di ferro, una decina di copie dell’ultimo numero di Parola di Vita, il settimanale diocesano. Sulla copertina, in basso a destra, il richiamo di un articolo pubblicato a pagina sette. Titolo: la diocesi accompagna in preghiera monsignor Nolè. Il redattore scrive che le condizioni del presule sono serie ma stabili e poi riporta un saluto del vescovo, ricoverato al Gemelli dal 30 agosto scorso: “Le mie condizioni sono un po’ migliorate. Non mi sarei mai aspettato di ricevere tanta vicinanza e ve ne sono grato”.

Don Luca Perri, rettore della cattedrale, lascia di fretta la sede episcopale: “Devo correre a prendere il saio francescano che Nolè ha espressamente chiesto di indossare dopo la sua morte”. Alle 17:58 le imponenti campane del duomo suonano a morto. L’atmosfera, nel centro storico, cambia d’un tratto. Don Luca Perri, trafelato, compie al contrario il tratto di corso Telesio che divide la cattedrale dalla Curia. Don Serafino Bianco gli cammina a fianco. La valigetta porpora sotto al suo braccio custodisce i paramenti sacri appartenuti a monsignor Nolè. Il giovane parroco di Rogliano, che del vescovo è stato primo segretario, si mette in auto e parte da solo diretto a Roma. Ad attenderlo, il segretario attuale don Pasquale e l’affezionata governante Rosina.

Francesco Renzelli, titolare dello storico bar di piazza Parrasio, mostra il dolce preferito del presule: “Si chiama varchiglia alla monacale. La ricetta, fatta di mandorle e cacao, risale al 1300 ed era una specialità delle suore scalze carmelitane del convento di San Domenico. A volte il vescovo lo consumava direttamente al bancone del bar, sorseggiando un caffè d’orzo. Altre volte, invece, glielo mandavamo noi in Curia, specie nelle occasioni importanti”. Piano piano il giorno lascia spazio alla notte. D’un colpo, ignare del lutto si accendono su corso Telesio le luminarie montate per gli ottocento anni della cattedrale.

S’illumina pure la vetrina del negozio di articoli religiosi che il vescovo era solito frequentare. “Da buon frate minore conventuale – ricorda il proprietario Umile Trausi – acquistava quasi sempre un tao, croce di legno simbolo del francescanesimo. Lo comprava per sé ma anche per farne dono quando, ad esempio, era ospite di qualche scuola. Una persona semplice che si fermava volentieri a parlare con quanti incontrava per strada. Ultimamente, però, non lo vedevo più in giro”.

Davanti alla sua bottega, s’odono i passi di don Fabio De Santis che esce dalla cattedrale dopo aver celebrato la messa dedicata a Maria Addolorata. “L’ultima volta ho incontrato Monsignor Nolè – confida il viceparroco della chiesa San Giovanni Battista di via De Rada – il 31 luglio a Lorica, dove stava trascorrendo un periodo di riposo presso il convento San Francesco alla Verna. Era provato nel corpo ma forte nello spirito”.

Il questore di Cosenza, Giovanna Petrocca, s’intrattiene a lungo negli uffici della Curia. Quando esce, è visibilmente commossa: “Il 29 settembre, in occasione della ricorrenza di San Michele Arcangelo patrono della Polizia, per la prima volta in cinque anni il nostro amato vescovo non sarà con noi. La festa naturalmente è annullata. Sarà soltanto celebrata una messa che dedicheremo a monsignor Nolè”.

Nell’oscurità, una volante con i lampeggianti accessi si posiziona davanti all’ingresso dell’Episcopio, in un gesto che sa tanto di simbolica vicinanza. Il cancelliere don Cosimo De Vincentis appone i sigilli all’appartamento del vescovo: nessuno potrà entrarvi fino all’arrivo di monsignor Giuseppe Piemontese, nominato amministratore apostolico della diocesi. Una dopo l’altra, si spengono le luci alle finestre.

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