PAOLA (CS) – Bancarotta fraudolenta ai danni dell’istituto Papa Giovanni XXIII di Serra d’Aiello.
Questo il reato per il quale don Luberto ex responsabile della clinica per malati psichiatrici ed anziani dalla quale scomparvero, misteriosamente, dodici pazienti ed oltre cento milioni di euro è stato condannato. Il parroco cosentino, attualmente ospitato in una struttura della diocesi nel milanese, ha incassato ieri una nuova pena: un anno e dieci mesi dopo i cinque anni comminatigli in Cassazione nel troncone principale dell’inchiesta che lo vedeva indagato per associazione a delinquere, appropriazione indebita ed abbandono di incapaci. A far scalpore furono le pessime condizioni igienico sanitarie in cui erano costretti a vivere i degenti, nonostante i cospicui finanziamenti all’istituto ricevuti dalla Regione Calabria e gestiti, in prima persona, da Don Luberto il quale nel frattempo viveva in un lussuoso appartamento del centro città poi sequestratogli dalla Guardia di Finanza. La clinica fu sgomberata tra le rivolte dei dipendenti ed il parroco posto ai domiciliari. Ieri il Tribunale di Paola ha sancito le responsabilità di don Alfredo Luberto il quale per anni visse nell’opulenza distraendo i capitali volti alla gestione dell’istituto Papa Giovanni XXIII, accreditando sul proprio conto corrente in tutto circa 3 milioni e 500mila euro scivolati nelle sue tasche nell’indifferenza dell’intera Arcidiocesi.
Nella clinica lager, si ricorda, due sospetti omicidi colposi furono trasformati in casi di morte naturale (archiviato anche il caso di una donna cui decesso fu attribuito a ictus cerebrale mentre furono trovate ferite attribuibili a colpi infertigli al capo) da aggiugersi a numerose assunzioni in odor di clientelismo politico e denunce coperte per lustri e lustri. Nato negli anni ’50 con lo scopo di dar rifugio, gratuitamente, ad anziani ed indigenti per opera di don Giulio Sesti Osseo (allontanato dalla curia di Cosenza per aver evidenziato diverse ‘anomalie’) a ridosso degli anni Novanta l’istituto dopo essere stato accreditato dal Servizio Sanitario Nazionale arriverà a contare 1.600 dipendenti, 1.000 pazienti e un’azienda agricola con oltre 100 ettari di terreni. Una vera e propria gallina dalle uova d’oro, pronta da spennare. E così fu fatto. Con le nefandezze, spesso inenarrabili, che ne conseguirono. Un esempio tra tutti, ma non certo il più eclatante, fu quello della piscina riabilitativa all’interno della clinica utilizzata in realtà come discarica per ogni genere di rifiuti. Per non parlare dei pazienti costretti a mangiare a terra, tra feci e urine. Per loro, con i propri tributi, i cittadini italiani hanno pagato centocinquanta euro al giorno. Un business di cui don Luberto, scagionando l’intera arcidiocesi di Cosenza Bisignano si è assunto ogni responsablità.