Petrolio in Calabria, Renzi ignora le norme europee e autorizza le estrazioni

SIBARI (CS) – Le multinazionali hanno ripresentato istanza di ricerca nei mar Jonio, stavolta in qualità di srl: società a responsabilità limitata.

Le domande di autorizzazione a trivellare i fondali di Puglia, Basilicata e Calabria sono state accolte dal Governo Renzi attraverso la figura del ministro alla Sviluppo Economico Federica Guidi. Nelle precedenti istanze di ricerca sia i Comuni che le Regioni interessate tramite la Via (Valutazione di Impatto Ambientale) avrebbero dovuto dare il loro diniego in quanto è stato evidenziato come questo tipo di trivellazioni crea danni ingenti al territorio. Soprattutto, in Calabria, un’area altamente sismica, alla luce del fatto che è stato scientificamente provata la relazione tra trivellazioni e terremoti indotti. Accogliendo le richieste dei magnati del petrolio, il Governo ha così bypassato le normative europee in materia di impatto ambientale che prevedono che, nel momento in cui i territori sono interessati da questo tipo di perforazioni, devono essere coinvolti comitati, cittadini, associazioni ambientaliste, istituzioni locali, Comuni e Regioni cui pareri risultano vincolanti. Al ministro Guidi però questo non interessa. Le multinazionali vogliono i nostri mari e noi glieli regaliamo. La figlia del vicepresidente di Confindustria, amministratore delegato di Ducato Energia ha comunque autorizzato le trivellazioni ignorando tale normativa e l’accordo sottoscritto a Stoccolma tra i Paesi europei: il trattato di Aurus. Un accordo forse sconosciuto al ministro Guidi in cui è sancita la piena autonomia alle autorità locali per quanto riguarda le decisioni che influiscono sull’ambiente.

 

“Il Governo Renzi – afferma De Martino del comitato No Triv di Rossano – sta regalando alle multinazionali il nostro territorio. Circa un mese fa il rischio trivelle era stato scongiurato perchè le associazioni erano riuscite ad impugnare le istanze di ricerche redigendo VIA in cui si evidenziavano delle criticità sia nella fase estrattiva sia nella fase di ricerca per quanto riguarda l’impatto sull’ambiente. L’area interessata coinvolge importanti siti archeologici e pregiate colture enogastronomiche che devono essere tutelate. La Lucania in più approvvigiona con la propria acqua gli acquedotti di intere regioni. E in questo caso si mette a rischio, come si è già verificato, (abbiamo studi provati e un’indagine dell’antimafia in corso) di inquinare le falde acquifere di vasti territori creando un danno enorme per la salute pubblica. Le associazioni erano riuscite a bloccare le multinazionali, ma il governo Renzi ha autorizzato tutto attraverso Guidi non tenendo conto delle denunce di territori, province e regioni per evitare un altro sopruso che la Calabria sta subendo. Dopo il diniego e lo stop alle trivelle, all’improvviso è emerso che per l’energia l’Italia a livello strategico necessita di trivellare lo Jonio. Ma perchè? – si chiede De Martino – Il petrolio è di pessima qualità, per estrarlo si mettono a rischio i cittadini e gli ecosistemi marini e terrestri. Pare quindi essere una strategia che appartiene solo alle multinazionali, non ai i territori.

 

I Comuni, in cambio, hanno delle royalities che sono ridicole rispetto a quello che guadagnano le compagnie petrolifere con le estrazioni. Avevamo urlato vittoria perchè Enel e Shell avevano abbandonando il progetto. La cosa strana è che le prime istanze sono state presentate da Enel, Shell, Total in qualità di Spa. Poi sono state ritirate e presentate come Srl (Enel Longanesi Srl, Happening Energy srl, Schlumberger Petroleum) per venir meno alla responsabilità di legge che impone che chi inquina paga le bonifiche rispondendo con il proprio capitale, che nel caso delle srl può essere anche di 1000 euro. E’ una presa in giro. I termini per il diniego scadono il 12 luglio, tra due giorni. Nel cosentino se l’autorizzazione non sarà ritirata, si trivellerà nel tratto adiacente agli scavi di Sibari con una forma in cui si perforeranno i fondali prima in profondità e poi in modo trasversale così da pescare l’eventuale giacimento di petrolio o di gas al di sotto degli scavi arginando tutte le limitazioni archeologiche e ambientali dettate dal fatto che si tratta di un sito patrimonio dell’Unesco. La politica calabrese in tutto ciò è stata assente. Ora qualcuno si fa sentire con delle affermazioni, ma bisognerebbe piuttosto produrre documenti per bloccare le multinazionali”.

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