Una frase grammaticalmente errata quella scritta sui cartelli dei migranti: “Se nessun documento, ci sparana, ucciderci”; ma non fa ridere, anzi rappresenta ancora una volta il disagio immane di chi, ospite delle strutture d’accoglienza italiane, deve dimenticare, forse di avere diritto allo status di rifugiato.
AMENDOLARA (CS) – Dietro quella scritta c’è la mancanza di permesso di soggiorno, l’indefinita posizione giuridica, il diniego da parte della commissione per il riconoscimento dello status di rifugiato, l’espulsione, il rimpatrio all’inferno, le bombe, gli spari, la morte. Da oltre 6 mesi, infatti, i richiedenti asilo “accolti” all’interno dell’hotel Grillo sono in attesa di un pezzo di carta che legittimi la loro presenza in Italia.
La delegazione composta da Emilia Corea (Ass. La Kasbah), Luca Mannarino e Fabrizio Liuzzi (attivisti) li aveva incontrati nel corso di una visita nel mese di ottobre. Ai nostri occhi si era palesata una situazione tragica di un’umanità umiliata da un sistema di accoglienza perverso. Le foto e i video realizzati da diverse televisioni locali, avevano acceso i riflettori sull’Hotel Grillo, dove 120 migranti, tra cui 5 minori, erano stati parcheggiati dalla Prefettura di Cosenza, nel mese di settembre.
L’accoglienza all’interno dell’hotel avrebbe dovuto essere temporanea, 3-4 giorni, per poi essere trasferiti in un vero e proprio centro di accoglienza dove avrebbero ricevuto tutti i servizi e l’assistenza previsti dalla legge. Solo a partire dal mese di gennaio 2017, però, l’hotel è diventato un CAS a tutti gli effetti. La gestione è stata affidata alla Pamag S.r.l., società proprietaria della struttura, mentre da febbraio la parte amministrativa viene curata dalla coop. Villa Caterina. Secondo quanto riferito ai tre rappresentanti dell’associazione La Kasbah, dagli stessi operatori di quest’ultima cooperativa, dal momento in cui è stato loro affidato l’incarico, stanno cercando di risanare una situazione che loro stessi definiscono disastrosa.
In tale situazione disastrosa risalta, dopo sei mesi di permanenza di alcuni, la mancanza di qualsivoglia documento, eccetto il numero di riconoscimento che viene loro attribuito al momento dello sbarco. E questo nonostante il modulo C3 (modello con cui si verbalizza la richiesta di protezione internazionale da parte del migrante) sia stato consegnato dagli ospiti della struttura agli uffici preposti della Questura di Cosenza già a novembre scorso. Un’assoluta incertezza nei tempi di ricezione del conseguente permesso di soggiorno per richiesta di asilo (che dovrebbe essere rilasciato entro 30 giorni) che è, evidentemente, la diretta conseguenza di un sistema coscientemente inefficace e poco trasparente, brillantemente impostato sulle solite e continue logiche emergenziali.
Vite umane già segnate trattate dagli operatori come ‘animali’
Dietro a tutto questo, ci sono vite che altro non cercano che la speranza di un futuro migliore rispetto al loro prossimo passato, una stabilizzazione ed un equilibrio che il loro vissuto gli ha strappato violentemente di mano senza cenni di pentimento. A tutto questo, si aggiungono le continue offese verbali con cui alcuni degli operatori della Pamag si rivolgono agli ospiti del centro: “Andate a dormire, animali. Spostatevi, animali. Venite a mangiare, animali”; pare sia questo il linguaggio “interculturale” utilizzato da parte di alcuni operatori nel rivolgersi ai migranti, secondo quanto riferito dagli stessi. Così come ci riferiscono che i vestiti che portano addosso, ora come a ottobre scorso, sono gli stessi che indossavano il giorno dello sbarco a Lampedusa: di fatto, un ragazzo indossa una maglietta completamente strappata, altri indossano vecchi pigiami di flanella e ciabatte di plastica ai piedi.
Oggi, però, i migranti hanno alzato la testa. Hanno deciso, autorganizzandosi, di scendere in strada e pretendere che le istituzioni preposte – questura e prefettura – diano loro una risposta in merito ai tempi di rilascio del permesso di soggiorno. Provocano un moto di tenerezza le rivendicazioni scritte a caratteri cubitali sui cartelloni che portano attaccati al petto. Soprattutto perché a questi ragazzi è stata preclusa anche la possibilità di partecipare a un corso di lingua italiana fino a qualche mese fa. Ma ciò che colpisce maggiormente, è la determinazione nel rivendicare un diritto che fino ad ora è stato loro negato. Il presidio sulla strada provinciale viene sciolto, al termine di una lunga contrattazione con i carabinieri e gli ufficiali della guardia di finanza e dopo essere riusciti a interloquire telefonicamente, per il tramite dei carabinieri, con i referenti prefettizi in merito ai tempi di rilascio del loro permesso di soggiorno. I ragazzi decidono, quindi, di fare rientro nel CAS a condizione che gli enti preposti consegnino loro i documenti entro dieci giorni.
Foto di Fabrizio Liuzzi