Dalla Repubblica Ceca chiamavano il latitante per le armi, ma era già in carcere

ROSSANO – A Cassano le armi, a Rossano la cocaina.

Questo il quadro emerso dal processo Stop nel corso del quale il pm Luberto ha chiesto per i dieci imputati condanne che vanno dai due ai 17 anni di detenzione. La Dda di Catanzaro punta il dito sulla cosca Acri-Morfò portando alla sbarra il presunto boss Nicola Acri, sua moglie Arianna Calarota, Gennarino Acri, Carmine Morello, Francesco Sommario, Umberto Graziano, Augusto De Simone, Sergio Sapia, Gianluca Fantasia ed Espedito Donato. La requisitoria del pm Luberto ha portato alla luce il passaggio dalla vecchia alla ‘nuova guardia’ della potente consorteria ‘ndranghetistica dell’Alto Jonio cosentino. Un nuovo corso segnato prima dal tentato omicidio di Antonio Manzi alias Tom Tom avvenuto nel 2002, poi dalla cattura dell’ex latitante Nicola Acri. Cassanesi e Rossanesi sarebbero stati così costretti, secondo le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Pasquale Perciaccante, a trovare un accordo sul commercio di armi e droga. Fu così deciso che da Rossano sarebbe partita la ‘coca’ e da Cassano l’eroina e le armi. Per il resto si sarebbe imposto a tappeto il monopolio di pane, caffè e guardania. Attraverso la sponsorizzazione di una locale squadra di calcio si sarebbero poi ripuliti i proventi delle attività illecite. Un panorama sviscerato dal pm con dovizia di dettagli soprattutto per quanto riguarda il traffico illecito di armi da fuoco. Gli inquirenti pare infatti abbiano intercettato nell’ultima fase della sua latitanza una serie di trattative tra il presunto boss Nicola Acri e alcune persone che dalla Repubblica Ceca contribuivano al commercio illegale di revolver, fucili e mitragliette. Le telefonate ad Acri da parte dei cechi continuarono anche dopo la sua cattura avvenuta a Bologna nel 2010 quando il boss dagli occhi di ghiaccio era ormai già in stato di detenzione. Nelle prossime udienze fissate per il 4, 11 e 14 aprile verranno ascoltati gli avvocati della difesa che tenteranno di smontare l’impianto accusatorio nei confronti degli imputati per i quali, in totale, sono stati richiesti ben novanta anni di reclusione.

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