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Mar Mediterraneo e inquinamento, acque verdi e nere: 5 cose da sapere

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Mar Mediterraneo e inquinamento, acque verdi e nere: 5 cose da sapere

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RENDE (CS) – Il mare sporco infiamma, come ogni estate, gli animi dei calabresi e dei turisti. Acque verdi e litorali di un’inquietante colorazione nera hanno mobilitato la cittadinanza, che nel Lametino ieri in segno di protesta si è data appuntamento alla foce del canalone ex Sir, per avere risposte dalle autorità competenti. Arpacal (Agenzia Regionale Protezione Ambientale Calabria) dichiara eccellente la qualità delle acque del 93% delle coste calabre, mentre litiga con Legambiente che afferma l’esatto contrario. Intanto a certificare il fallimento della depurazione in Calabria vi sono le procedure di infrazione alla Direttiva UE sulle acque reflue. Per potenziare il servizio nella regione sono stati stanziati 500 milioni di euro. Nonostante ciò l’ANAC (Autorità Nazionale Anticorruzione) ha di recente denunciato gravi ritardi di esecuzione delle opere e una situazione critica che riguarda gli appalti dei lavori sugli impianti in Calabria. Nel frattempo cosa succede nel Mediterraneo? «Aumenta la temperatura e diminuisce la quantità di ossigeno in mare con importanti conseguenze sull’intero ecosistema» spiega Filippo Garofalo ricercatore in Fisiologia comparata e docente di Fisiologia degli Animali Marini nel corso di laurea Biodiversità e Conservazione dei Sistemi Naturali presso l’Università della Calabria. Per affrontare una nuova estate sul bagnasciuga ecco 5 cose da sapere sugli effetti dei cambiamenti climatici.

1 – L’uomo minaccia il mare

«Per il ciclo dell’acqua – ricorda Garofalo – quello che viene buttato nei fiumi, nei ruscelli, nei laghi, nei canali, arriva al mare. Un esempio. Getto un mozzicone di sigaretta a terra: finisce nel tombino, attraverso le acque bianche arriverà al fiume, poi in mare (se non viene intercettato da un depuratore). Le minacce alla salute degli ambienti marini provengono dagli interventi dell’uomo. L’innalzamento medio della temperatura dettato dall’inquinamento porta ad una minore presenza di ossigeno disciolto in acqua. A soffrire sono tutti gli animali, in particolare molte specie larvali muoiono già dai primi stati di sviluppo. Negli ultimi decenni la drastica riduzione delle quantità di pesce azzurro nel Mediterraneo è dovuta proprio a questo fenomeno che non permette agli animali marini aerobici di respirare, e quindi di sopravvivere.

2 –  Specie aliene in Calabria

Perdere una specie potrebbe sembrare qualcosa di irrilevante. Non è così – sottolinea Garofalo – perché la scomparsa di una sola specie ha ripercussioni sulla catena alimentare, perchè può provocare sia il declino di alcune specie che all’eccessiva presenza di altre. Basti pensare al declino delle api che provoca gravi ripercussioni sullla produzione agricola mondiale e alla disponibilità di cibo. Se a questo si aggiunge “l’invasione” di specie aliene la catena alimentare ne risente ulteriormente. Queste specie provenienti da mari tropicali stanno colononizzando i nostri mari sempre più caldi, nei quali possiamo trovare il pesce palla o il pesce scorpione che, dopo aver attraversato il canale di Suez, hanno trovato negli anni condizioni ottimali. Anche il granchio blu, ghiotto di vongole ed incubo deggli allevatori di molluschi, le cui larve hanno attraversato l’Oceano nelle intercapedini delle navi, hanno trovato nel mediterraneo la temperatura giusta per accrescersi e riprodursi, tra Gizzeria e la foce del fiume Savuto se ne possono osservare molti esemplari. Sono stato 5 volte in Antartide proprio per studiare gli effetti del cambiamento climatico sui pesci ghiaccio (unici vertebrati al mondo privi di emoglobina) che sono sentinelle del surriscaldamento globale. E continuiamo queste ricerche per comprenderne l’evoluzione».

3 – In mare poco ossigeno e tanta plastica

«La diminuzione dell’ossigeno e gli inquinanti in mare riducono la quantità di pesci, molluschi e crostacei. Attualmente – afferma Garofalo – siamo in overfishing: c’è troppa pressione sulle popolazioni ittiche, un sovrasfruttamento esasperato negli ultimi 10 anni. L’itticoltura in acqua oggi ha preso piede sino al punto che la metà del pescato mondiale è usata per nutrire altri pesci in acquacoltura. L’uomo distrugge il mare non solo immettendo in atmosfera i gas serra responsabili dei cambiamenti climatici, ma anche con la pesca selvaggia, con gli scarichi industriali illegali, con la mancanza di depurazione, con il rilascio di microplastiche nelle acque. Qualora non vi fosse un’inversione di rotta il Mediterraneo nel 2050 la massa di materie plastiche eguaglierà tutta la biomassa (vegetale e animale) in esso contenuto. È infatti già classificato come uno dei mari più inquinati del pianeta. Vi finiscono l’equivalente di 34.000 bottigliette di plastica al minuto, lo Stretto di Messina è ritenuta l’area marina con la più alta densità di rifiuti al mondo. Appare come una pozzanghera chiusa tra lo Stretto di Gibilterra e il Canale di Suez, con poco ricircolo di acqua. È molto profondo, ma per quanto vi siano forti correnti la plastica si concentra sui fondali, avendo tempi di biodegradazione che durano secoli».

4 – Come cambia il mare, cosa succederà

 «Gli interventi dell’uomo – ribadisce Garofalo – sono in alcuni casi distruttivi per l’ambiente marino. Un esempio è la spropositata crescita delle alghe, stimolata dai concimi che vengono utilizzati in agricoltura per triplicare i raccolti. La fioritura algale è un processo naturale, ma non è normale quando è eccessiva, come a volte avviene nei nostri golfi. Un fenomeno che riduce sia la quantità di ossigeno sia il PH dell’acqua generando altri squilibri. A ciò si somma la maladepurazione. Dalla fine del 1800, quando l’uomo ha iniziato a immettere in atmosfera gas serra, usando combustibili fossili, l’aumento della temperatura del pianeta è stato continuo. La natura si sta già ribellando. Il pianeta continuerà a vivere, noi potremmo però estinguerci male, tra guerre e miseria, se non vi sarà una coscienza collettiva di popoli pronta ad affrontare concretamente i cambiamenti climatici».

5 – Cosa si può fare per proteggere il mare

«Le istituzioni – secondo Garofalo – possono fare molto per tutelare il mare: dal creare oasi nelle quali sono interdette le attività dell’uomo più impattanti, al vigilare sul corretto funzionamento dei depuratori (che se lavorano bene non inquinano). Informare la gente è un passo indispensabile. Sono convinto che come succede in Brasile un cartellone con i tempi di biodegradazione degli oggetti (sacchetto di plastica 400 anni, reti da pesca 600 anni) contribuirebbe a ridurre gli abbandoni. Nessuno dovrebbe gettare rifiuti in spiaggia o in mare. Serve capire che una cicca di sigaretta nascosta nella sabbia, potresti ritrovarla lì ancora dopo 15 anni, periodo in cui rilascerà in mare frammenti plastici sempre più piccoli, le cosiddette microplastiche, che ormai sono entrate nella catena alimentare marina. Le microplastiche sono vettori di altri inquinanti (ad es. metalli pesanti), quelle di più piccole dimensioni, le nanoplastiche, sono in grado di raggiungere tutti i terssuti biologici, dove provocano danno ed aumenta il rischio di sviluppare patologie tumorali».

 

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