MILANO – Chi si ritrova con le coronarie mal messe prime dei 40 anni e deve ricorrere al palloncino e poi allo stent, ha buone probabilità che questi interventi lo preservino da ulteriori problemi nel medio-lungo periodo. A meno che il cuore sia già stato seriamente danneggiato
o che il paziente perseveri con uno stile dei vita a rischio, prima di tutto con il fumo. Questo il messaggio di una ricerca effettuata in più centri cardiologici torinesi e pubblicata sull’American Journal of Cardiology.
GIOVANI SOLO PER L’ETÀ – A illustrare i risultati è Emanuele Meliga, cardiologo interventista dell’Ospedale Mauriziano di Torino che ha coordinato lo studio. «Ci siamo chiesti quale fosse il destino dei pazienti che devono subire precocemente un’angioplastica con impianto di stent. Abbiamo individuato oltre 200 casi, 9 su 10 maschi, trattati nel corso di un quinquennio. L’età media era davvero bassa, 36 anni circa, e la maggior parte dei pazienti sono giunti alla nostra attenzione a seguito di infarto miocardico o sindrome coronarica acuta». Effettivamente si trattava di un gruppo di persone con predisposizione a malattie coronariche sia in termini di fattori di rischio cardiovascolare (ipertensione, ipercolesterolemia, obesità, diabete), sia per la abitudine al fumo, riferita dai tre quarti dei pazienti. L’esperto torinese precisa: «I dati clinici indicano chiaramente che, specialmente in questo tipo di pazienti, il fumo ha un peso determinante nel danneggiare le coronarie. Inoltre, abbiamo notato come in genere fossero presenti al momento del ricovero più fattori di rischio cardiovascolare misconosciuti: solo il 5% di questi infatti aveva in passato fatto accertamenti o assunto farmaci per controllare la pressione, l’ipercolesterolemia, il diabete, fidandosi troppo della giovane età e dell’ingannevole convinzione di essere in salute. Il tipo di lesioni presenti sulle coronarie di questo gruppo era qualitativamente simile a quelle che si trovano nei pazienti più anziani, come a dire che il mix di fumo e predisposizione individuale ha accelerato il processo di invecchiamento».
DARSI UNA REGOLATA – L’angioplastica ha avuto successo e rare complicazioni nell’immediato, ma la questione interessante era capire come andassero le cose a distanza di tempo. «Dopo un periodo di osservazione medio di circa due anni, quasi il 90% dei nostri pazienti non ha avuto eventi cerebrali o cardiovascolari maggiori, come morte, ictus, infarto e necessità di un re-intervento sulle coronarie – prosegue il cardiologo -. Peraltro i problemi si sono concentrati in quel ristretto sottogruppo di pazienti che avevano una funzione cardiaca compromessa dai primi episodi di malattia o che avevano continuato a fumare». La morale della storia non è difficile da capire, forse più difficile da applicare: per evitare di trovarsi a 40 anni con le coronarie di un uomo di 20 o 30 anni più vecchio, bisogna ricercare uno stile di vita salutare (la ricetta comprende la rinuncia al fumo, all’eccesso di alcol, l’alimentazione moderata per quantità e selezionata per qualità, l’attività fisica) e una visita dal medico anche se ci si sente in gran forma, magari dal cardiologo se in famiglia c’è qualcuno che ne ha avuto bisogno in passato. Soprattutto non vale la pena di sfidare la sorte se è già stata benevola una prima volta, permettendo di risolvere con l’angioplastica una minaccia per la vita almeno all’inizio ignorata. Ecco perché non ha senso perseverare con il fumo. Qualche dato scientifico, a conforto di chi non è abbastanza motivato a buttare via la sigaretta: dopo un anno dalla cessazione il rischio di infarto si riduce del 50%, dopo 5 anni il rischio di malattia coronarica grave e dopo 5-15 anni il rischio di ictus ritornano gli stessi dei non fumatori.