La Dieta Mediterranea “questa sconosciuta”, cambia lo stile di vita scoperto negli anni ’50?

Che cosa sta succedendo alla Dieta Mediterranea? Celebrata dai nutrizionisti e conservata gelosamente attraverso la tradizione, la dieta mediterranea rischia seriamente di scomparire soppiantata da un modello alimentare nuovo ma non altrettanto salutare e sostenibile.

 

La dieta mediterranea è stata scoperta in Italia, e precisamente in Calabria e Campania, agli inizi degli anni ‘50. A studiarla per primo fu Ancel Keys, un medico americano, che notò che in alcuni paesi della Campania e della Calabria (Nicotera per la precisione), la popolazione locale era afflitta, in misura minore rispetto ad altri popolazioni, da malattie dell’apparato cardiovascolare. Keys, che si trasferì in Italia dopo la seconda guerra mondiale, ebbe modo di verificare i suoi studi sugli effetti benefici che l’alimentazione meridionale ha nei confronti delle malattie moderne (cosiddette del benessere) e cioè ipertensione, arteriosclerosi, diabete e in genere tutte le malattie cardiovascolari, che oggi affliggono i paesi occidentali e che hanno origine dalla cattiva alimentazione.
Egli scoprì che in quelle zone si seguiva fondamentalmente un regime dietetico impostato su consumo di pasta, frutta, verdura, legumi, olio d’oliva, di pesce e di una minima quantità di carne. Questo modello meridionale di alimentazione è stato confrontato in studi successivi con le diete di altri paesi a forte incidenza di malattie cardiovascolari, quali la Finlandia, la Germania, gli Stati Uniti, confermando la sua validità, come oggi ampiamente accettato. A distanza di oltre sessanta anni assistiamo ora a una situazione paradossale: negli ultimi decenni si è assistito in tutta l’area del sud dell’Europa, a un graduale abbandono di questa dieta a favore di stili alimentari meno salutari ed estranei alle nostre origini.

Proprio nelle zone in cui era nata e si era sviluppata questa dieta, capace di mantenere in forma e in salute chi la seguiva, si registra un progressivo abbandono delle sue regole, come testimonia uno studio condotto dal professor Antonino De Lorenzo, dell’Università romana di Tor Vergata.

Secondo questa ricerca in Italia solo il 53% degli adulti (45-64 anni) segue le regole principali della dieta mediterranea, mentre questa percentuale scende al 33% fra i giovanissimi e tra il 40% e il 44% tra i giovani. Di contro quasi il 32% dei giovanissimi e il 25% dei giovani preferiscono la cosiddetta dieta occidentale, costituita in gran parte da carne e proteine.

Dieta Mediterranea 1
Nello stesso tempo si è accertata, in Calabria e in Campania, una consistente crescita dell’obesità, soprattutto infantile a fronte di un aumento considerevole nell’alimentazione quotidiana di zuccheri semplici (dolciumi vari e bevande), di cibi a elevato contenuto di grassi (come i prodotti da forno), di una rilevante riduzione di consumo di alimenti d’origine vegetale, contenenti fibre alimentari e sostanze antiossidanti naturali. Molte le cause che hanno contribuito all’abbandono di quella dieta, dichiarata dall’Unesco patrimonio dell’umanità.
Per prima cosa si deve riscontrare una mancanza di biodiversità nelle colture locali, diminuite rispetto al passato in misura rilevante. Poche, infatti, le coltivazioni tradizionali ancora presenti nella regione e ciò non può non incidere sulla varietà di prodotti presenti nella dieta. Dall’altra parte vi è una presenza sempre più consistente di prodotti d’importazione, di un progressivo esaurimento delle risorse naturali e un cambiamento sostanziale degli stili di vita.

Nuova Piramide Alimentare

Quella seguita dai calabresi in questo periodo, sempre più mutuata da scelte alimentari di stampo tipicamente nord-europeo e nord-americano, ha abbandonato le proteine vegetali, come quelle presenti dei legumi, e i grassi “buoni” come quelli contenuti nel pesce azzurro del mediterraneo, sostituendoli con proteine d’origine animale (carni rosse) e snack industriali dolci e salati, bibite gassate e piatti pronti di produzione industriale ricchi di grassi idrogenati e di oli di scarsa qualità nutrizionale.
Altra causa di questa situazione è da ricercare nei fenomeni collegati di urbanizzazione progressiva e spopolamento delle campagne, che hanno contraddistinto gli anni della seconda parte del secolo scorso. La cosa che forse pesa di più, pur non avendo un’origine di natura economica, è certamente la perdita progressiva di tutte quelle conoscenze tramandate di generazione in generazione che garantivano, nei nostri paesi, le diversità delle colture e degli allevamenti. Un regime dietetico, infatti, che segue le stagioni e i cicli dell’agricoltura nella produzione di frutta e verdura è molto più varia nel corso dell’anno rispetto a una dieta standard che si ripete sempre uguale a se stessa nel giro di tutto l’anno.

L’aumento del consumo di carne rossa e di prodotti derivati dal latte rappresenta non solo un danno per la salute dell’essere umano, ma anche un ampio sfruttamento delle risorse naturali a disposizione. Tornare a consumare più cereali, verdure e legumi avrebbe il doppio beneficio di garantire una vita più lunga e più sana. L’elemento chiave, in conclusione, potrebbe senz’altro essere rappresentato da una diffusa educazione al consumo del cibo salutare, la quale deve mirare soprattutto a modificare i comportamenti alimentari dei giovani, orientati al fast food e a intrattenere un rapporto sbagliato con il cibo.

Garganistan Arcimboldi

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