“Alla porta dei popoli bussano profughi in fuga dalla bestialità delle guerre o dalla ferocia di una vita la cui unica prospettiva è la fame”, dice Bauman, il grande sociologo polacco, venuto a mancare pochi giorni fa.
Sono i rifugiati, i richiedenti asilo, gli sfollati, che rappresentano delle“vite di scarto”.
Sono quelle persone per le quali Papa Francesco ci esorta a mettere da parte la nostra indifferenza.
Partendo da queste riflessioni, forse varrebbe la pena di affrontare la questione dei migranti con serenità d’animo, mettendo subito in chiaro due cose.
La prima, è che non esistono buonisti da una parte e razzisti dall’altra.
La seconda, è che diventa fondamentale capire se ad esprimere il proprio parere, su questo argomento, sia un personaggio politico o un semplice cittadino.
E’ evidente, infatti, che nel primo caso la sua posizione possa essere viziata dalla necessità di dover rispondere alle aspettative dei potenziali elettori.
Nel caso del semplice cittadino, invece, dal momento che non è condizionato da interessi particolari, la sua opinione ed il suo posizionamento sul versante dell’accoglienza o del respingimento dei migranti, non può che essere dettata da un suo convincimento e quindi da una sua libera scelta.
Dobbiamo però, a questo punto, evitare di voler attribuire questa sua scelta ad un diverso registro morale o ad un diverso grado di sensibilità nei confronti del “prossimo”, perché questo andrebbe ad incancrenire il dibattito e soprattutto perché, secondo me, non corrisponde al vero.
Tale scelta deriva, molto verosimilmente, da una diversa percezione del pericolo che l’aumento del numero degli immigrati, nel nostro paese (in Europa?), indiscutibilmente comporta. L’entità di tale percezione è legata in maniera indissolubile alla paura che tale situazione, soprattutto se vista in una prospettiva futura “apocalittica”, determina.
Sia ben inteso che avere paura di qualcosa (in particolare di qualcosa che non si conosce a fondo) è un meccanismo di difesa naturale ed ancestrale che, molto spesso, ci preserva da tristi epiloghi, e che pertanto non può essere condannato. Superare questa paura, però, potrebbe consentirci di scoprire che la nostra posizione nei confronti della situazione dei migranti (e dei profughi in particolare) non si discosta molto da quella di coloro che in maniera più immediata (e forse per questo meno meditata?) si dichiarano favorevoli alla politica dell’accoglienza. Per fare ciò bisognerebbe mettere in campo del coraggio, quel coraggio che in ognuno di noi è presente e che non collide con la paura, che si può legittimamente e comprensibilmente avere. Spesso essa rappresenta il volano che innesca l’azione coraggiosa e che, subito dopo, ci fa sentire orgogliosi per quello che abbiamo fatto.
Questo coraggio unito al buon senso potrebbe permetterci un approccio più adeguato al problema dei migranti, con la ricerca di soluzioni attuabili, che vadano a salvaguardare la loro triste condizione e la nostra esigenza di sicurezza. Quando però si verificano fatti come quelli di Cona (che hanno un nesso con la presenza di molti immigrati in Italia), dove alcuni profughi mettono “a ferro e a fuoco” una struttura di accoglienza o, ancora peggio, atti terroristici come quelli di Berlino (che non hanno una correlazione diretta con la questione dei migranti), ovviamente tutto diventa più difficile e mantenere un atteggiamento di apertura all’accoglienza può risultare davvero arduo, soprattutto per chi ha già dovuto lottare con la sua coscienza.
Nel caso dell’episodio di Cona, dopo aver premesso che gli atti di violenza messi in atto hanno fatto passare dalla parte del torto i protagonisti della rivolta, perché la violenza è sempre da condannare, non possiamo però non riconoscere le difficili condizioni in cui si trovano tali persone, perché non farlo non sarebbe onesto.
Da un lato, abbiamo circa 1400 persone ammassate come animali da macello, in un posto che dovrebbe (che può) contenerne al massimo 200, al gelo, senza alcun riferimento, senza un obiettivo da raggiungere, senza motivazioni, se non quella legata alla pura e sola sopravvivenza. Dall’altro lato, abbiamo gli abitanti del paese dove è situato il centro, che raggiungono appena le tremila unità (il doppio dei profughi), con la loro comprensibile preoccupazione, che una tale situazione rappresenti una polveriera. Infine, a rendere il conflitto ancora più acceso vi sono le false notizie sui soldi che sarebbero percepiti dai profughi. Infatti, circola insistentemente la voce che essi riceverebbero dallo Stato una diaria di 35/45 euro, mentre nella realtà ricevono solo 2 euro e cinquanta centesimi al giorno e che quelle somme di cui si parla vanno a personaggi, spesso di dubbia fama e di scarsa caratura morale, che si stanno arricchendo con il business dei profughi.
Il sistema di accoglienza dei migranti in Italia prevede, per i 100.000 migranti e rifugiati, gli SPRAR (Sistema per Richiedenti Asilo e Rifugiati), gestiti dagli enti locali, che dovrebbero partecipare ai bandi del Ministero dell’Interno per l’affidamento di queste strutture, ma purtroppo molti comuni, per vari motivi, non vi partecipano. Su 8000 comuni solo 400 l’hanno fatto fino ad ora (se partecipassero tutti sarebbero presenti solo 12 migranti per comune). Per sopperire a tale mancanza da parte degli enti locali, sono stati introdotti i CAS (Cento di Accoglienza Straordinaria) che vengono gestiti da privati, dopo aver partecipato ad un bando della Prefettura. Nella schiera di questi privati troviamo i cosiddetti “imprenditori della disperazione umana”. Questi hanno varie provenienze, da Legacoop alle imprese di Comunione e Liberazione, dalle aziende vicino alla Lega alle multinazionali, per finire ai preti-manager. Si tratta, spesso, di albergatori opportunisti e truffaldini, o di altri personaggi senza scrupoli che utilizzano strutture fatiscenti, privi di ogni servizio igienico, per ospitare i migranti e lucrarci sopra disonestamente, mettendo nella struttura almeno il triplo delle persone che potrebbe contenere, a danno delle condizioni di vivibilità dei profughi e a tutto vantaggio delle loro tasche.