I videogiochi sono una droga?

“Cocaina digitale”,  così sono stati definiti da molti esperti i videogiochi per ragazzi.

 

E’ evidente che una tale definizione, che sottende il rischio che si possa sviluppare una dipendenza, vada ad aumentare ancor di più la preoccupazione dei genitori, che vedono i loro figli sempre concentrati sugli smartphone, sui tablet, sulle plystation, ecc.

Che  i videogiochi nel nostro cervello stimolino la dopamina, provocando un effetto simile a quello osservato in chi assume droga, è scientificamente provato. Essi in tal modo prendono in ostaggio la mente dei ragazzi, che immergendosi totalmente nel videogame ed immedesimandosi nella situazione avvertono un senso di onnipotenza, che li porta a pensare di poter fare qualsiasi cosa.

Questo però non deve portarci a demonizzare né la tecnologia, né questi giochi, semmai dovrebbe farci riflettere su questo suo lato oscuro e portarci a cercare soluzioni adeguate per risolverlo. Per fare ciò, noi genitori dovremmo, innanzitutto, dare il buon esempio.

Poi dovremmo riflettere sul fatto paradossale che in un mondo iperconnesso una buona parte dei giovani soffre di solitudine. Ed infine, che trascorrere fino a molte ore davanti ad un videogioco può avere conseguenze non solo sulla salute psichica e cognitiva, ma anche su quella fisica per la posizione scorretta che viene assunta e per la sedentarietà.

Cosa è giusto fare in questi casi? Innanzitutto, noi genitori dovremmo provare ad inventare e ad organizzare attività alternative per allontanare i nostri figli dagli schermi digitali.  Ma questo non riusciamo a farlo perché siamo noi per primi  ad essere ossessionati da questi dispositivi.

Che vi sia il rischio che si possa instaurare una dipendenza per questi videogiochi sembra innegabile ma, per fortuna, solo in certi casi tale dipendenza diventa patologica. La patologia si manifesta quando si verifica un condizionamento nella vita del ragazzo, quando queste attività rappresentano una via di fuga dalla realtà, un modo per non affrontare la vita. Esistono degli elementi che devono suscitare un certo allarme, come l’alterazione del ciclo sonno-veglia, il mutare di alcuni tratti caratteriali, e l’isolamento sociale.

Su quest’ultimo punto c’è da dire che è importante però considerare il fatto che il periodo adolescenziale già di per sé crea degli scompensi, soprattutto nelle relazioni sociali, motivo per cui queste possono essere scarse e difficili in partenza. Anzi,  a questo proposito non possiamo escludere che a questi giochi, in cui magari si è bravi, e nei quali si riesce a primeggiare, da parte dei ragazzi venga attribuita un’importanza “vitale”. Potrebbero essere visti come uno spazio in cui recuperare l’autostima. In pratica, il ragionamento potrebbe essere: più divento bravo nel videogioco più otterrò rispetto e considerazione, che possono ripercuotersi in maniera positiva sulla vita reale.

La disperazione di noi genitori è comprensibile,  perché ci accorgiamo che non è facile trovare una soluzione per quello che da noi viene visto come un  sequestro dei nostri  figli, che sembrano essere trasportati in un mondo parallelo.  Si innesca spesso  una serie di punizioni, di ricatti e di minacce legate al cellulare, che finiscono con il suo sequestro o di quello della playStation.

Di sicuro non può essere ritenuta una buona soluzione quella di interrompere il gioco in maniera improvvisa. Forse sarebbe più proficuo stabilire delle regole di tempo e condividere questa soluzione con gli altri genitori, facendo con loro un vero e proprio patto, magari rendendo partecipi i ragazzi.

Si eviterebbero, in tal modo, quelle reazioni  di protesta  a volte furiose, che per molti versi potremmo  anche capire, immedesimandoci nella loro situazione. A volte, quando interrompiamo il gioco in un momento “importante”, mentre stanno, ad esempio, per raggiungere un obiettivo, la loro rabbia e la loro disperazione saranno legate oltre che al mancato raggiungimento di quel traguardo, anche al danno di immagine vero o presunto che essi ritengono di aver subito nei confronti degli amici con cui sono connessi durante il gioco.

D’altra parte, pensandoci bene, essi  fanno le stesse cose che facevamo noi, quando avevamo la loro età, semplicemente con strumenti diversi. Alle nostre esagerazioni i  nostri genitori reagivano come facciamo noi oggi. Soltanto che allora dovevano venire a prelevarci nella sala gioco (biliardi, flipper, ecc.) dove ci rinchiudevamo per interi pomeriggi. Anche in quel caso, per noi figli la preoccupazione maggiore era rappresentata dalla brutta figura che ritenevamo ci facessero fare davanti ai nostri amici.

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