Desideri, bisogni e felicità

C’è una sostanziale differenza tra bisogno e desiderio. Nel bisogno l’uomo è dominato da pulsioni che lo spingono all’azione, mentre nel desiderio egli agisce in maniera attiva, ponendosi degli obiettivi da raggiungere.

 

Il bisogno esprime una necessità primaria dell’organismo e non richiede l’incontro con l’oggetto, mentre il desiderio è sempre connesso ad un oggetto. La pubblicità, soprattutto negli ultimi decenni, prova a farci credere che l’oggetto pubblicizzato sia qualcosa di indispensabile, e per farcelo acquistare cerca di stimolare in noi il suo desiderio, dandogli una connotazione di bisogno, cosa che ne rende impellente il suo possesso. Noi cadiamo nella rete anche perché spesso non diamo valore a quello che già possediamo, scordandoci tra l’altro che quello che abbiamo, un tempo era tra le cose che desideravamo.

Bisogno e desiderio appartengono a due ambiti distinti, quello animale e quello umano, quello della natura e quello della cultura, quello corporeo e quello linguistico, quello dell’immanenza e quello della trascendenza.

Possiamo essere felici limitandoci a soddisfare solo i nostri bisogni di base (quelli relativi alla sopravvivenza) e rinunciando a coltivare i nostri desideri? E’ giusto assoggettarci alla dittatura del desiderio che, finché non si raggiunge l’oggetto, il fine che ci si è prefisso, ci mantiene in tensione verso di esso,facendoci perdere di vista quello che ci offre il presente, che potrebbe da solo darci il senso della felicità, e che impoverisce la nostra vita spirituale?

Se riteniamo, come dice Bertrand Russell , che “ la mancanza di qualcosa che si desidera è una parte indispensabile della felicità”, dobbiamo allora ammettere che per essere felici dobbiamo appagare i nostri desideri. E’ evidente che il desiderio di “qualcos’altro” nasca dalla sensazione di non trovarsi completamente bene con ciò che si ha o dove si è, cioè dal sentirsi insoddisfatti, cosa che ci spinge ad agire con impeto per ottenere ciò che riteniamo possa migliorare la nostra condizione di vita. Ma, è altrettanto evidente che la sua assenza ci porti a ad agire senza slancio vitale, senza anelare al futuro e quindi rischiando di non produrre futuro. Dal momento che la Natura oltre alla pulsione per soddisfare i nostri bisogni primordiali, ci ha dotati della facoltà di desiderare, anche al fine di perpetuare la nostra specie (desiderio sessuale e desiderio di un figlio), pensare di volere estinguere il desiderio potrebbe risultare un fatto innaturale.

In mancanza del desiderio verrebbero meno molte delle cose che contraddistinguono la vita dell’uomo e che la rendono interessante, come l’arte e, soprattutto, l’amore. Arte e amore trovano nel desiderio il “primum movens” che conduce alla passione, intesa come pathos, cioè qualcosa che sottende la sofferenza, ma anche la capacità di appassionarsi. Di provare quella passione che, come dice Goethe, ci salva dall’indifferenza, regalandoci “il brivido che è la migliore parte dell’umanità” e che ci fa scoprire come “per quanto il mondo faccia pagar caro il sentimento, l’uomo, quand’è commosso, sente nel profondo l’immensità…”.

Allora la scelta giusta potrebbe essere non quella di voler eliminare il desiderio in generale, ma di orientarlo, rifuggendo il desiderio bramoso, quel susseguirsi di desideri che ci spinge a vivere costantemente fuori di noi in preda alla frenesia ed all’inquietudine, che ci produce spesso sofferenza, e privilegiando il desiderio inteso come aspirazione a qualcosa di elevato. Considerando così la particella “de” di de-siderio non con un valore sottrattivo che gli darebbe il significato di “cessare di vedere le stelle”, ma con un valore intensivo, che gli darebbe il significato di “guardare le stelle con attenzione”, attendendo e sperando in qualcosa di speciale.

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