Quasi, quasi, per una volta, mi tocca di dover dare ragione a Vespa.
Di fronte ad un’immane catastrofe come il terremoto di Amatrice, dopo aver, come al solito, piegato la tragedia, ai suoi miseri obiettivi, rivolgendosi ai suoi ospiti, tra i quali il sottosegretario Delrio, Vespa è stato capace di definire quello che era accaduto (un terremoto!) “…una bella botta di ripresa per l’economia …”.
Quella frase piena di cinismo, che ha fatto indignare molti telespettatori, conteneva purtroppo un’amara verità. Quando si verifica un episodio tragico, nel quale degli esseri umani perdono la vita, si innesca purtroppo, molto spesso, un meccanismo perverso, una specie di “indotto”, che consente, paradossalmente, a operatori nei vari settori di lucrare sull’evento drammatico che si è verificato.
In altri termini, avviene che quell’evento, da un lato, procura dolore e sofferenza, in alcune persone, cioè in quelle che sono in esso coinvolte più o meno direttamente e, dall’altro lato, offre involontariamente delle opportunità di guadagno a molta gente, in alcuni casi, priva, più che di scrupoli, di decenza e di decoro personale.
Si mette in moto una macchina infernale che prevede, tra l’altro, un susseguirsi di messa in onda di trasmissioni televisive che, con la scusa di dare le giuste e doverose informazioni sull’accaduto, mirano a catturare l’attenzione dell’opinione pubblica, per ottenere un guadagno negli ascolti e di conseguenza una maggiore appetibilità di quel programma da parte degli inserzionisti pubblicitari, che si traduce in un aumento degli introiti finanziari.
Il sensazionalismo e la pratica del pagamento di interviste a personaggi coinvolti nella tragica vicenda, che hanno come unica colpa, il più delle volte, l’ingenuità o, comunque, l’incapacità di capire che quella loro accettazione, quasi rassegnata, di quel genere di proposte ignobili, va ad alimentare una fitta e indegna rete di interessi economici, sono solo alcune delle modalità con cui vengono gestite dai media queste dolorose vicende.
Capita che coloro che vengono intervistati, cedendo alle insistenti offerte di somme di denaro che, in quel momento, sembrano loro una forma di indennizzo per la sciagura che hanno subito, magari con la perdita di un proprio congiunto, subiscano una sorta di disorientamento. Tale smarrimento altera la loro percezione di quello che è avvenuto nella realtà e li fa entrare in una specie di mondo virtuale, dove le lacrime vengono dispensate a vantaggio della voracità degli spettatori.
Poi irrompe lo sciacallaggio della pubblicità, reso più squallido dalla sua tempistica. Quella pubblicità che ha precedenza su tutto, che può interrompere il racconto di un tragico avvenimento, senza nessuna remora, senza destare alcuna vergogna nei responsabili del programma. Tutto ciò avviene, però, anche e soprattutto, perché da parte nostra c’è una forma di accondiscendenza, a queste indegne rappresentazioni, dovuta alla nostra morbosa curiosità, al nostro interessamento ossessivo, che non sempre è la spia dell’altruismo, del senso di vicinanza, della partecipazione al dolore delle persone colpite dalla disgrazia.
Le trasmissioni di sciacallaggio raccolgono un’ampia platea di spettatori perché oltre a fare leva sulla loro curiosità, scatenano la loro voglia di protagonismo. Infatti, ognuno vuole fare il suo commento, vuole dire la sua, vuole formulare ipotesi, individuare i colpevoli e prospettare soluzioni.
Sembra, in altri termini, che il dolore esibito nei programmi “strappalacrime” stimoli l’atteggiamento voyeuristico del pubblico, che finisce per nutrirsi delle disgrazie altrui.
Avviene un po’ come nelle tragedie greche quando si mettevano in scena grandi sentimenti e si consentiva, a volte, anche al pubblico di parteciparvi, quasi come in una forma di catarsi (liberarsi del proprio dolore attraverso il dolore degli altri). Oggi, però, a differenza di allora c’è più malafede e più cinismo.
Finisce così che, di fronte al crollo di interi paesi o ad una valanga che seppellisce un albergo, le macerie più difficili da rimuovere sono quelle della miseria intellettuale di noi spettatori e di quello che resta della dignità umana di certi personaggi, che non perdono occasione per mostrare tutta la loro cinica avidità.