Rende: Legnochimica, chiesti oltre due anni di reclusione per l’ex assessore all’Ambiente

Durante l’udienza il sindaco di Rende, che risulta tra gli indagati, ha reso spontanee dichiarazioni: “Intervenire sulla bonifica è stato il primo atto dopo la mia elezione”

 

COSENZA – Tutti sapevano, ma nessuno è intervenuto. In contrada Lecco i casi di tumore continuano a lievitare, mentre aumenta ogni estate la paura per incendi e nubi tossiche. La bonifica dell’ex Legnochimica, a distanza di sedici anni dalla chiusura dell’azienda, resta ancora un miraggio. Ad oggi, di fatto, non si è tentata neanche la parziale messa in sicurezza dei luoghi nonostante gli annunci di idranti e ‘nasi elettronici’. Intanto nel corso dell’udienza odierna nella sua requisitoria l’ufficio di Procura si è espresso sulle posizioni delle quattro persone indagate per omessa bonifica e disastro ambientale. Il procuratore aggiunto Marisa Manzini ha chiesto per l’ex assessore all’Ambiente del Comune di Rende, che ha scelto di essere giudicato con rito abbreviato, Francesco D’Ippolito una pena di due anni e otto mesi di reclusione e il rinvio a giudizio per il sindaco di Rende Marcello Manna, il liquidatore Pasquale Bilotta e il dirigente dell’Ufficio Tecnico comunale settore ambiente Francesco Azzato. Pasquale Bilotta avrebbe, secondo il pm, omesso di presentare un progetto di bonifica conforme a quanto richiesto nelle varie conferenze dei servizi. Durante il suo mandato presentò infatti una sola proposta (prelevare acqua e fanghi dai laghi ripulirli in loco e riversarli nel Crati) ritenuta non applicabile. Marcello Manna e Francesco Azzato invece sono ritenuti responsabili in concorso di entrambi i reati per non aver posto in essere attività di tutela dell’incolumità pubblica.

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legnochimica vigili prot civile

“Il diritto alla salute è un valore fondamentale da garantire. Per questo – tuona in aula il procuratore aggiunto Marisa Manzini – la normativa impone la messa in sicurezza sulla base di una pericolosità potenziale del sito. Dopo di ciò si può procedere al piano di caratterizzazione dei luoghi contaminati e all’analisi del rischio. Nel caso in cui sia accertato lo sforamento dei valori oltre le soglie di rischio, si deve provvedere alla bonifica o alla messa in sicurezza permanente. In caso contrario si effettuerà il piano di monitoraggio. Nell’eventualità che il soggetto che debba operare sia inerte è l’amministrazione comunale che deve intervenire. Questa la procedura standard. A Rende cosa è successo? Al piano di caratterizzazione non è mai seguita un’analisi del rischio. Nessuno degli imputati si è mai preoccupato di farla elaborare, ma hanno preferito passare direttamente ai piani di bonifica rivelatisi sempre inidonei. Difficile argomentare la non pericolosità dell’area insistendo sull’assenza della documentazione di routine per accertare lo sforamento dei valori soglia.

 

Se così fosse dovremmo parlare subito di bonifica, non di messa in sicurezza d’emergenza che, comunque, non è legnochimica-1stata posta in essere. Ciò implica una grave omissione. Bisogna individuarne i responsabili. Capire chi degli imputati aveva la possibilità di agire e non l’ha fatto. Esaminiamo la vicenda. Dagli atti di indagini è emerso che nell’area dell’ex Legnochimica di Rende è tutt’ora presente un rischio di propagazione degli agenti contaminanti, enfatizzato dai vari incendi che si sviluppano nel corso delle stagioni estive. L’ex assessore all’Ambiente del Comune di Rende Francesco D’Ippolito a pochi giorni dal suo insediamento fece un sopralluogo in contrada Lecco. Sin da subito ha chiesto chiarimenti agli uffici tecnici comunali per conoscere i termini della vicenda. Lo testimoniano la corrispondenza con il liquidatore di Legnochimica Pasquale Bilotta, le relazioni in Consiglio comunale, la partecipazione a conferenze dei servizi, l’istituzione di una Commissione speciale su Legnochimica. Conosceva quindi i rischi dell’area, ma non ha provveduto ad attivarne d’urgenza la messa in sicurezza. Bastava una direttiva vincolante. Quello che si contesta agli imputati è il pericolo di offesa alla pubblica incolumità in virtù del fatto che la popolazione residente è esposta ad agenti tossici. Per la norma infatti basta la possibilità dell’esistenza di pericoli per la salute e l’ambiente, non è necessario stabilirne l’esatta entità”.

 

I TRE ‘INCUBI’ DELL’EX LEGNOCHIMICA: FALDE CONTAMINATE, AUTOCOMBUSTIONI E ‘NUBI TOSSICHE’

 

“I problemi dell’area industriale di Rende su cui insiste l’ex Legnochimica sono essenzialmente tre: la presenza di metalli pesanti nelle acque sotterranee, la propagazione di agenti inquinanti in occasione degli incendi e le emissioni di fumi maleodoranti potenzialmente nocivi. La mancata messa in sicurezza – chiarisce il procuratore aggiunto Manzini nella sua requisitoria – contribuisce a peggiorare la situazione. Della relazione del rettore dell’Università della Calabria Gino Mirocle Crisci si evince che i laghi formati dagli scarti industriali di lavorazione del legno sono caratterizzati da un’elevata concentrazione di metalli pesanti quali alluminio, manganese, ferro, nichel, cromo, arsenico e piombo al di sopra dei limiti consentiti dalla legge. L’acqua piovana e la mancata impermeabilizzazione delle vasche ha consentito che gli inquinanti percolassero nel terreno fino alla falda freatica sottostante per poi propagarsi nelle aree limitrofe come si riscontra dai prelievi fatti nei pozzi di Opel, Gagliardi, Morrone e Salituro. Crisci nella sua relazione spiega anche gli effetti nocivi sulla salute umana.

 

Come se non bastasse il sito è oggetto di una serie di incendi originati dal fenomeno dell’autocombustione che si verifica con le alte temperature estive. Questi eventi comportano il rilascio oliverio tomao legnochimicanell’aria benzene altamente pericoloso per chi vi risiede e chi vi lavora. Eventi ciclici: agosto 2015 (due giorni di lavoro dei vigili del fuoco per lo spegnimento ed emissione di fumi fino a settembre), giugno 2016 , giugno 2017. Nel monitoraggio dell’aria effettuato dall’Arpacal seguito all’incendio della scorsa estate, l’alta concentrazione di benzene ha indotto il  sindaco ad emanare un’ordinanza in cui vietava l’esposizione ai fumi, il pascolo di animali e il consumo di ortaggi coltivati nell’area. Le esalazioni maleodoranti che invece si percepiscono anche in assenza di incendi, secondo Crisci, sarebbero riconducibili a risalite di bollicine di gas dai laghi prodotte dalla putrefazione dei materiali lignei depositati sui fondali. In estate la riduzione dell’altezza dell’acqua presente dei laghi e l’aumento della temperatura contribuiscono a far aumentare la produzione di questo gas e quindi le esalazioni potenzialmente tossiche.

 

Diverse le segnalazione della polizia municipale che documentano il fenomeno nonché quelle dei residenti che con una denuncia presentata dall’associazione ambientalista Crocevia nel 2015 lamentano cefalee, nausea, vomito, eruzioni cutanee, congiuntivite, tosse. La messa in sicurezza d’emergenza avrebbe permesso di circoscrivere tali fenomeni. Sarebbe bastato impermeabilizzare le vasche dei laghi per non contaminare le falde acquifere, istallare recinzioni o videosorveglianza (per evitare incendi dolosi) o semplicemente tagliare l’erba e non lasciare i terreni incolti come chiedevano i residenti nel 2015 terrorizzati dalla diffusione degli incendi. Il Comune di Rende però non interviene, eppure bastava una semplice direttiva. Non solo nulla è stato fatto per prevenire questi fenomeni, ma neanche per limitarne le conseguenze. Eppure tutti gli imputati erano ben consapevoli della pericolosità della situazione, ma non si sono adoperati per intervenire”.

 

LE DICHIARAZIONI SPONTANEE DEL SINDACO MARCELLO MANNA

 

Al termine della requisitoria del pm il sindaco di Rende Marcello Manna, indagato per omessa bonifica e disastro ambientale, ha inteso rendere dichiarazioni spontanee per precisare alcuni aspetti della vicenda. “Partiamo dalla assoluta incertezza del dato inquinante. Noi – ha spiegato Marcello Manna – ci inseriamo in un iter amministrativo che all’epoca era già in corso. Interveniamo dopo un provvedimento del commissario straordinario Valiante del maggio 2014 che sollecitava entro 15 giorni la presentazione da parte di Legnochimica di un progetto di bonifica. Il mio primo atto amministrativo al Comune di Rende (18 giorni dopo le elezioni) riguarda la Legnochimica con un incontro insieme a D’Ippolito e Azzato per verificare lo stato dell’arte. Il 10 settembre 2014 chiedo alla Regione di inserire l’area nell’elenco dei siti da bonificare.

 

A fine giugno nel 2015 per sbloccare la situazione sporgo denuncia informando Procura, Prefetto, Regione, liquidatore di Legnochimica e legnochimica-rende-contrada-leccofinanche il TAR. Ho avviato un’interlocuzione con tutti i soggetti coinvolti per procedere alla bonifica, ho creato una commissione consiliare speciale, su mia indicazione i vigili urbani hanno monitorato il sito quattro volte al giorno nel periodo degli incendi, ho provveduto al taglio dell’erba con la Rende Servizi (anche se in merito i residenti hanno più volte sollecitato il Comune ad intervenire ndr). Gli incendi su Rende sono stati tutti dolosi e abbiamo chiesto l’intervento del Prefetto.

 

Abbiamo trovato ferro e manganese anche nei pozzi di Roges e Santo Stefano, sono le falde che sono inquinate e non rendono le acque potabili. L’unica spesa che abbiamo potuto fare è quello per uno studio dell’Unical perché il Comune è in predissesto finanziario e non può investire risorse economiche. Abbiamo chiesto anche uno specifico ‘mutuo’ ad un ente simile alla Cassa depositi e prestiti per intervenire nella bonifica di Legnochimica, ma ci è stato negato. Di recente ho preso due provvedimenti: un finanziamento di 50mila euro per un intervento di natura idrica sui laghetti e ho assegnato 100mila euro per continuare la ricerca dell’Unical e attestare i valori degli agenti inquinanti e capire se siamo in presenza di terreni contaminati o meno. Anche nel provvedimento nel TAR era scritto che non c’era urgenza di intervento perché ad oggi manca la certificazione sul grado di contaminazione dell’area”. Il processo è stato rinviato al prossimo 19 aprile quando il gup Santese si esprimerà in merito alla condanna dell’ex assessore e del rinvio a giudizio degli altri indagati.

 

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