Solo sospetti, ipotesi, alcune anche azzardate rispetto ad una verità, che sarà certamente restituita presto o tardi, ma non sarà mai assoluta. L’unica certezza? Due pistole, un coltello e una famiglia che non c’è più.
RENDE – In quella villetta di via Malta, zona rurale alla periferia di Rende, viveva la famiglia Giordano che è stata cancellata da un’immane tragedia. E con essa anche la speranza di arrivare ad una spiegazione che possa colmare il vuoto e i dubbi su quanto accaduto in una fredda nottata di febbraio ad una famiglia apparentemente normale, che resta ‘normale’ per quelli che fino a qualche giorno fa frequentavano Franca, Salvatore, Cristiana e Giovanni. Nessuno mai potrà avere la certezza di cosa sia realmente accaduto. Solo loro, la famiglia che non esiste più, conosciuta da molti e finita nei pensieri di tutti. Problemi di soldi ed economici, dissidi familiari, gelosie, rancori, vecchi o nuovi problemi… chissà? In questi giorni si è scritto tutto ed il contrario di tutto.
Le uniche affermazione che sentiamo ripetere da quel giorno? “Inspiegabile”, “tragedia”, “terribile” “impossibile” … Al centro di questa storia, certamente terrificante, c’è Salvatore Giordano, il capofamiglia. Una persona molto conosciuta in città, descritta come un buona ed affabile. Aveva una parola per tutti, era stimato per gentilezza, cortesia ed educazione. Come sua figlia Cristiana, adorata dagli amici e dai colleghi del call center nel quale lavorava. Poi la moglie Franca dedita alla cura amorevole della sua famiglia e Giovanni, che era solo un ragazzo, uno studente universitario.
Dal giorno del ritrovamento dei loro corpi, in molti si sono permessi di dedurre, fare constatazioni, proferire giudizi e potenziali risoluzioni del caso che “appaiono” certe, ma che certe non sono e, forse, non lo saranno mai. Ed è su questo aspetto che sarebbe necessario da parte di tutti un pò di silenzio, perché a scavare nella vita familiare e personale dei Giordano ci stanno pensando gli inquirenti, che certamente troveranno una spiegazione logica ai fatti e grazie agli approfondimenti tecnici, tenteranno anche di ricostruire la dinamica di quanto accaduto all’interno di quelle quattro mura domestiche. Perchè nessuno era lì quella notte e nessuno può ipotizzare e sentenziare. Nessuno può dire “è impazzito”, o “ha avuto un raptus” o addirittura “covava da tempo la voglia di ammazzare” soprattutto se non si conosce affatto colui il quale dall’inizio è stato classificato come il mostro della famiglia. Ciò non vuol dire che non lo sia, ma che sarebbe meglio attendere esiti specifici, tecnici dagli organi competenti, spesso scavalcati dalla morbosità.
Anche l’avvocato Chiara Penna, penalista e criminologa, in un’intervista ai microfoni di Rlb ha voluto porre l’accento su questo esprimendo “meraviglia su come sin dalle prime ore si siano accavallate una serie di informazioni in ordine alla criminodinamica del fatto, dal momento che fino a questo momento, nemmeno gli inquirenti hanno ben chiaro l’ordine con il quale gli avvenimenti si sono sviluppati la notte fra l’11 e il 12 febbraio scorsi”.
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“L’unico dato che pare essere certo – spiega l’avvocato Penna – è che non vi siano segni di effrazione che possano giustificare la presenza in casa di estranei entrati con la forza e che purtroppo tutta la famiglia Giordano non c’è più, probabilmente per mano di se stessa. I tentativi, spesso romanzati, di stabilire chi ha sparato chi, in che ordine e perché, sono certamente comprensibili di fronte alle richieste di una comunità scossa in cerca di spiegazioni. A volte, però, la necessità di capire diventa fastidiosa e morbosa, soprattutto quando si cerca di dare una risposta razionale a qualcosa che nulla ha a che vedere con la razionalità, intesa come capacità comune di trovare una ragione ad un evento mostruoso”.
“Per tale motivo, l’unica cosa che c’è da dire in ordine alla vicenda è che, allo stato, non si può definire assolutamente nulla almeno finché non si avranno i risultati degli esami balistici, degli esami autoptici e di tutte le attività di sopralluogo. I primi determineranno non solo chi ha sparato e con quale arma – se con entrambe, con una o con nessuna delle due – ma soprattutto permetteranno di definire le traiettorie degli spari rispetto allo sparatore (o agli sparatori); i secondi potranno invece dare delle informazioni concrete in ordine al tipo di ferite inferte (se anche da arma bianca o solo da arma da fuoco) ed alle cause della morte. Tutto quello che oggi si argomenta senza avere il possesso di tali dati è dunque irrilevante, privo di riscontro e teso esclusivamente ad alimentare racconti frutto di informazioni apprese qua e là sbirciando sui luoghi del fatto, alimentando dubbi e offrendo ricostruzioni non utili a nessuno”.
“La vicenda è certamente complessa e se dovesse, pertanto, essere confermata l’ipotesi dell’omicidio- suicidio, o più correttamente del suicidio allargato, bisogna partire dal presupposto che chi si toglie la vita dopo aver ucciso, lo fa perché non riesce a sopportare il dolore della perdita ed è incapace di sopravvivere all’atto stesso: questo da l’idea dell’importanza del legame con la vittima”.
“Escludendo quindi il caso della gelosia, della malattia di uno dei familiari alla quale gli altri non riescono a far fronte, o l’ipotesi di un delirio psicotico in capo al soggetto agente, le uniche motivazioni che possono ricondursi all’avvenimento in questione vanno allora ricercate in qualche situazione – che ancora non sappiamo – ma che ha potuto generare nel capo famiglia un senso di impotenza di fronte ad un fallimento (non necessariamente economico). Questa visione negativa verso il futuro, accompagnata da uno stato depressivo, ha potuto
innescare un pensiero suicida, ma il senso di responsabilità nei confronti degli altri componenti della famiglia ritenuti più fragili, unito all’idea delirante di preservarli dalle sofferenze, può far decidere di portarli via con sé. In questa ottica, il suicido allargato assume un significato salvifico per chi agisce. Totalmente diversa sarebbe invece la ricostruzione dell’accaduto se saltassero fuori altri
elementi che giustificherebbero una discussione accesa tra i familiari finita in tragedia; ulteriormente diversa sarebbe la criminogenesi dell’accaduto se a sparare non fosse stato il padre (o comunque non solo lui). Ma ad oggi sarebbe più opportuno non azzardare ulteriori ricostruzioni”.