I cattolici di Fogli Mariani contro Padre Fedele e il vescovo: “Violata l’onorabilità di suor Tania”

 Sul sito cosentino di testimonianza cattolica grave attacco al frate francescano da pochi giorni nominato assessore al Contrasto alla Povertà.

 

COSENZA – “Per una parte del popolo cosentino – si legge sul sito Fogli Mariani dedicato a Maria di Nazaret – un certo Fedele Bisceglia di Acri, ex frate in quanto sospeso a divinis dal suo ordine di appartenenza per esser venuto meno al voto di obbedienza, è più famoso del papa. Stando a certe voci di popolo o di popolino poi riprese dalla stampa locale, questo bizzarro e folcloristico personaggio della provincia cosentina, uscito assolto in Cassazione di recente da un’incresciosa vicenda giudiziaria che risale a circa dieci anni or sono, sarebbe vittima di un complotto ordito ai suoi danni dalla curia della città bruzia e da non meglio precisati “poteri forti” che graviterebbero attorno ad essa. Perché? Semplicemente perché il Bisceglia avrebbe creato a Cosenza l’Oasi francescana, opera oltremodo costosa, ma al tempo stesso molto redditizia sotto l’aspetto specificamente economico, a presunto ed esclusivo beneficio di tutti i poveri e i diseredati della nostra città nonché degli immigrati indigenti (uomini e donne) che vi giungono per trovarvi lavoro. La Chiesa cosentina che, sostengono alcuni, quanto ad avidità e malversazione si sarebbe macchiata di reati e colpe particolarmente odiosi negli ultimi decenni, non poteva lasciare che “tutti quei quattrini” fossero gestiti da lui, e quindi avrebbe pensato di farlo fuori infangandone dignità umana e onorabilità religiosa per mezzo della falsa accusa mossa nei suoi confronti da suor Tania Alesci.

 

Francamente, non si comprende per quale ragione la Chiesa cosentina, per “espropriare” il Bisceglia dell’Oasi, dovesse ricorrere ad accuse calunniose e ordire ai suoi danni trame addirittura criminali. L’Oasi non poteva essere in nessun caso proprietà di Bisceglia, né questi avrebbe mai potuto trarne vantaggi personali diretti o indiretti a qualunque titolo oppure opporsi ad una rimozione dal ruolo di responsabile dell’istituto. L’unico, vero e legittimo proprietario di quell’opera, come di tutte le opere caritatevoli in generale, non poteva e non può essere che la Chiesa e il vescovo della diocesi di riferimento. Dunque, dove sarebbe il problema? Perché mai la Chiesa cosentina, per destituire un “religioso”, avrebbe dovuto far uso di “mezzucci” utili solo a ritorcersi contro di essa? E’ evidente come qui si abbia a che fare con un tipo di congetture che viene di solito trovando un terreno particolarmente fertile in quel rozzo e per nulla innocente semplicismo religioso, ben radicato nella società cosentina, in virtù del quale la devozione per San Francesco di Assisi o di Paola sembra avere la stessa intensità della devozione per la propria squadra di calcio, l’amore per il Signore e la Santissima Vergine sembra essere compatibile con degradanti forme di amore carnale per le donne, l’attivismo religioso più esibito e strombazzato risulta più apprezzato di una spiritualità riservata e silenziosa, il missionarismo gridato e pubblicizzato viene considerato come inequivocabile manifestazione di carità evangelica, l’ostentato prender partito a favore di gruppi di poveracci come segno di generosità personale e di impegno sociale addirittura rivoluzionario.

 

L’ASSESSORATO AL CONTRASTO ALLA POVERTA’ CONFERITO DA OCCHIUTO

 

L’ex religioso Fedele Bisceglia ha sempre esercitato per circa quarant’anni una particolare influenza su qualche migliaio di soggetti per lo più sociologicamente marginali o spiritualmente immaturi e beneficiato della notorietà procuratagli più che altro da una grancassa mediatica funzionale a disegni in qualche modo “destabilizzanti” in senso socio-politico. Sorprende quindi l’atteggiamento assunto tanto dal potere politico quanto, principalmente, dal potere religioso della città di Cosenza: si allude al sindaco Mario Occhiuto e al vescovo mons. Francescantonio Nolè. Il primo ha inopinatamente deciso di chiamare all’assessorato al contrasto della povertà e al disagio l’ex monaco acrese che naturalmente, pur definendosi di “sinistra”, ha accettato subito l’incarico ringraziando Occhiuto e soprattutto i cittadini cosentini che, per mezzo del loro sindaco, avrebbero inteso, secondo lui, fargli giungere la loro stima. Occhiuto è un amministratore certamente capace ma è anche un politico molto furbo: non fa niente per niente e se ha voluto che della sua giunta in parte bizzarra e in parte patetica facesse parte, accanto a Sgarbi (l’intelligenza più umorale d’Italia), a Iole Santelli (una delle signore più famose di Forza Italia), a Matilde Spadafora (che solo qualche giorno fa confermava la sua solidarietà a suor Tania Alesci, accusatrice di Bisceglia, e madre della povera Roberta Lanzino barbaramente stuprata e uccisa alcuni decenni or sono), anche il riottoso Fedele Bisceglia, è molto probabile che egli abbia avuto buoni e concreti motivi per farlo.

 

Naturalmente, sarebbe opportuno che qualche seguace biscegliano spiegasse al suo capo o amico che i cittadini cosentini con la nomina conferitagli dal sindaco Occhiuto non c’entrano assolutamente nulla e che unico responsabile di questa discutibilissima scelta è lo stesso Occhiuto, che è legittimato a fare le scelte che crede ma a cui si può altrettanto legittimamente contestare di aver rimesso in circolazione una persona chiacchierata come uomo e come religioso, mostrandosi del tutto indifferente alla sensibilità religiosa di non pochi cattolici cosentini (di destra e di sinistra) che, per quanto purtroppo silenti, non hanno mai in cuor loro apprezzato il chiassoso e invadente presenzialismo, il linguaggio talvolta triviale e scurrile, l’atteggiamento arrogante e fastidiosamente farisaico di quel presunto ministro di Dio. L’ex frate dovrà abituarsi non solo ai complimenti dei suoi fans bensí alle critiche pacate e rigorose di quanti non da oggi ma da sempre lo hanno ritenuto, per più di un aspetto, poco adatto alla vita monastica e sacerdotale di rito latino. Occhiuto, che ha manifestato pubblicamente la sua devozione francescana, si è assunto la responsabilità di chiamarlo a coamministrare il bene pubblico, una scelta politicamente inopportuna e religiosamente offensiva tale decisione. Prima o poi, se Dio vorrà, sapremo chi ha visto meglio.

CRITICHE AI VESCOVI CHE HANNO ‘PERDONATO’

 

Ma, per tutto ciò, stupisce soprattutto la reazione dei due ultimi vescovi cosentini. Da una parte, il vescovo emerito Nunnari, duramente criticato dal Bisceglia all’indomani del suo proscioglimento in Cassazione, pur “sentendo il dovere pressante della ricerca della verità”, si è preoccupato più di cautelarsi personalmente, con il chiarire che l’ex monaco era stato sospeso non da lui ma dal suo ordine religioso di appartenenza e non già per aver violato l’obbligo di castità ma quello di obbedienza, che non di ribadire coraggiosamente che, anche a prescindere dalla vicenda giudiziaria, sussistessero elementi oggettivi e chiaramente indicativi del rapporto di incompatibilità che si era venuto ormai a creare tra l’impetuoso ed esagitato religioso e la comunità ecclesiale dell’intera provincia di Cosenza. Dall’altra, il vescovo attuale, Francescantonio Nolè, dopo aver saputo che  Bisceglia era stato prosciolto dai reati per i quali era stato invece condannato in 1° e 2° grado, ha usato un’espressione che ha fatto arricciare il cuore a settori qualificati del cattolicesimo cittadino. Egli, infatti,  dichiarava in un comunicato: “La nostra Chiesa,  che confida nel suo Signore ma anche nell’operato della Magistratura e degli inquirenti, esprime la gioia e il ringraziamento a Dio per la felice conclusione di questo triste capitolo che ha visto coinvolto padre Fedele Bisceglia per molti anni. L’assoluzione dalle accuse mosse contro il religioso si sono rivelate destituite da ogni fondamento  e per questo la Chiesa cosentina gioisce con lui e per lui nella certezza che la verità si fa sempre strada anche nelle fatiche umane”.

 

Ora, non si intende mancare di rispetto al pastore della nostra Diocesi, ma d’altra parte, se qualche sua pecorella strilla è solo per avvertirlo di uno stato di disagio, il che significa che un fedele non può tacere solo per viltà, né può far finta di nulla. Innanzitutto, anche Nolè si ostina a chiamare “padre” un soggetto che oggettivamente non ha più diritto a questo titolo essendo stato espulso dal suo ordine e giustamente sospeso “a divinis”, sebbene lo stesso soggetto, incurante della disciplina ecclesiastica, abbia continuato nel tempo ad indossare arbitrariamente l’abito religioso e ad usare in modo improprio un linguaggio religioso, peraltro intriso di malcelato risentimento verso suor Tania e le sue stesse consorelle. Quasi che, sotto il profilo morale e religioso, ci si possa affidare ad una sentenza giuridica di 3° grado piuttosto che di 1° e 2° grado, e a questo piuttosto che a quell’altro magistrato giudicante, su una vicenda cosí complessa e comunque comprensiva di aspetti decisamente inquietanti che risultano documentati seppur ritenuti, a ragione o a torto, penalmente irrilevanti. “Felice conclusione di questo triste capitolo”? Per chi? Per un uomo in via ipotetica perseguitato ingiustamente o per una religiosa oggi, a ragione o a torto, ritenuta inattendibile dalla giustizia terrena? E’ in grado il vescovo di stabilire, secondo scienza e coscienza, quale sia realmente la verità? Se ci dice che la posizione giusta da prendere al riguardo gli è stata ispirata dallo Spirito Santo, si deve essere disposti a credergli ciecamente e a chiedergli pubblicamente perdono. Non resta che attendere.

 

IL VESCOVO VIOLA L”ONORE’ DI SUOR TANIA

 

Tuttavia, il nostro vescovo forse non si è reso conto che le sue parole intanto abbiano finito per avallare la posizione di taluni giornali laici che non hanno esitato, in occasione dell’assoluzione giudiziaria di Bisceglia, che è pur sempre quella di una fallibilissima giustizia terrena, ad usarla per dare dell’“indegno” a chiunque non abbia ritenuto e non ritenga l’ex monaco degno di indossare un abito religioso. Ma quel che è più grave in senso teologico, pastorale e comunitario, è che Nolè giunga ad affermare: “la Chiesa cosentina gioisce con lui e per lui nella certezza che la verità si fa sempre strada anche nelle fatiche umane”; il che, di nuovo, implica non solo un attacco, al momento spiritualmente ingiustificato, all’onorabilità della suora accusatrice, ma anche e soprattutto un modo assolutamente gratuito di attenersi al vangelo e alla bimillenaria Tradizione della Chiesa cattolica, dal momento che è ben noto come la Chiesa non possa e non debba gioire con persone e in particolare con religiosi che, seppur assolti da qualche tribunale terreno, siano venuti obiettivamente meno non solo al voto di obbedienza, tanto da essere espulsi dal loro ordine religioso e dalla stessa comunità ecclesiale, ma abbiano tenuto costantemente una condotta ben poco esemplare. La Chiesa gioisce con e per le pecorelle smarrite, con e per i peccatori che si pentono sinceramente delle proprie colpe, con chi opera il bene (se davvero lo opera) senza mettersi continuamente in mostra, con chi non maledice pubblicamente i suoi presunti nemici con parole sprezzanti e irridenti ma prega in silenzio per essi sforzandosi di perdonarli (eventualmente) nel chiuso della propria stanzetta e senza suonare la tromba dinanzi ai microfoni e alle telecamere del mondo.

 

Pensa il vescovo Nolè che possa esser questo l’identikit di Fedele Bisceglia? Non ha sentito quel che dice e come lo dice, non ha notato il suo “mettersi da parte” stando però sempre al centro dell’attenzione, non ha visto come sia lesto ad afferrare certe opportunità di potere, non ha ancora toccato con mano la sua protervia (“voglio tornare a dir messa a Cosenza e solo a Cosenza”)? Come può essere sicuro il vescovo Nolè che la Chiesa cosentina possa gioire con e per Bisceglia? Come può escludere che essa debba invece dolersi per il grave scandalo che, in ogni caso, attraverso la vicenda che riguarda il suddetto, ha profondamente scosso la comunità cattolica cosentina? E poi non una parola, non un pensiero paterno, misericordioso, rivolto a quella suora, in ogni caso duramente provata e la cui inattendibilità è stata decretata dopotutto non in modo assoluto ma relativo visto che alcuni giudici le hanno creduto e altri no. Certo, la verità si fa strada anche nelle fatiche umane: non sempre, però, come dice Nolè e, soprattutto, non necessariamente sulla base di sentenze scritte da uomini. Quanti innocenti vengono condannati in modo definitivo e quanti colpevoli invece vengono ingiustamente assolti in tutte le parti del mondo?

 

Se, in presenza di casi particolarmente complessi come quello in parola, bastasse  un’assoluzione giudiziaria per dire che un tale è candido come un colombo, per tutti i Barabba del mondo dovremmo essere grati a Dio, mentre molti potrebbero sentirsi autorizzati ad avere qualche dubbio persino su colui su cui si fonda la nostra stessa fede. Ma, è da ribadire, a prescindere dai crimini che furono contestati a Fedele Bisceglia non da una sola suora ma da decine di sue consorelle che, a suo tempo, vennero a Cosenza da Messina per testimoniarle la loro convinta solidarietà, non sbaglia chi giudica grave errore della Chiesa quello di aver tollerato per troppo tempo l’indole narcisistica, focosa, indisciplinata ed evangelicamente insofferente e faziosa dell’ex monaco e di aver trascurato o sottovalutato le segnalazioni fatte per tempo in spirito di carità alle autorità ecclesiastiche, ben prima che su di lui fossero avviate indagini e disposte intercettazioni telefoniche da parte dell’autorità giudiziaria, circa i suoi modi poco consoni alla vita monastica e sacerdotale. Come potrebbe e dovrebbe gioire dunque la Chiesa cosentina per l’acrese Bisceglia, missionario, come sono in tanti a pensare, più per diletto personale che per vera vocazione? Quanti sono quelli che a Cosenza, in tutta coscienza, lo ritengono vittima di un complotto e, per contro, indomito servo di Cristo?

 

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