Colpito il clan Perna, estorsioni senza sangue: “Basta lo sguardo”

COSENZA – Tintinnano le manette tra le fila dell’autorevole cosca bruzia.

Tra gli arrestati spicca il nome di Caterina Palermo, first lady del sodalizio criminale retto dal boss Francesco Perna. La moglie del capo indiscusso del potente clan operante nel cosentino avrebbe svolto le funzioni di tesoriera in una rete di estorsioni attivata a tappetto su tutto il territorio di Cosenza e provincia. Ad infliggere un ‘duro colpo al cuore della malavita cosentina’, come affermato dal Questore Anzalone, un’operazione scattata all’alba di stamane che ha portato all’arresto di quattro persone e alla latitanza di un indagato. L’inchiesta Magnete condotta dall’antimafia catanzarese ha portato alla luce un preoccupante fenomeno diffuso in tutto il cosentino che vede la classe imprenditoriale soggiogata dalle locali ‘ndrine che avanzerebbero continue richieste di denaro in cambio di ‘protezione’. Nel caso specifico sarebbero stati accertati casi in cui alcuni titolari sarebbero stati costretti a sborsare sino a 6mila euro al mese. In media pare che tra le richieste agli operatori della grande distribuzione e i piccoli commercianti si arrivasse a cifre variabili quantificabili in 20mila euro anni per ogni azienda ‘amica’.

 

Dalle indagini svolte dagli agenti dell’anticrimine emerge un particolare significativo: i Perna non utilizzano armi. Nonostante sia stata documentata la disponibilità di armi da fuoco pare che agli affiliati del clan bruzio bastasse solo uno sguardo per fare pressione su commercianti e imprenditori ottenendo il pagamento del pizzo. Un’evidenza che testimonia la forza intimidatoria del sodalizio Perna cui nessuna delle vittime avrebbe mai neanche tentato di denunciarne le insistenti richieste estorsive. Anzi. Dai filmati che immortalano i passaggi di denaro dalla tasca degli esercenti a quella degli estorsori, sembrerebbe che vittima e carnefice fossero sempre in ottimi rapporti. Il pizzo infatti veniva versato con lacrime di sangue per i bilanci aziendali tra baci, abbracci e strette di mano. Solo attraverso le intercettazioni ambientali e telefoniche gli inquirenti sono riusciti ad identificare l’oggetto di quelle ‘strane visite’ nei pressi degli esercizi commerciali presidiati dalle forze dell’ordine.

 

A riscuotere il denaro e consegnarlo alla signora Perna erano il 31enne Santo Cozza accompagnato dal ‘collega’ più navigato che gli ‘faceva da maestro’: il 68enne Armando Giannone già condannato per associazione a delinquere di stampo mafioso nel processo Garden. A coordinare il tutto pare fosse Mario Musacco esponente di spicco della consorteria ‘ndranghetista operante nel cosentino detenuto, ma attualmente ricoverato presso Villa degli Oleandri per una grave depressione. Dalla clinica il 63enne esponente di primo piano del clan gestiva comodamente il racket della ‘ndrina dando ordini, consigli agli affiliati, fungendo quindi da contabile del business estorsivo dei Perna. Gli arrestati e la neo-primula rossa cosentina, di cui non sono state rese note le generalità, sono accusati di “aver costituito e partecipato – si legge nella nota divulgata dalla Questura di Cosenza – all’associazione a delinquere di tipo mafioso armata ed organizzata denominata Perna, associazione che si avvale della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche in Cosenza e nei paesi limitrofi con un capillare controllo del territorio.

 

Associazione in cui i partecipanti hanno la disponibilità di armi impiegate per il conseguimento delle finalità dell’associazione ed in specie nella consumazione dei reati estorsivi rientranti nel programma criminoso dell’associazione anche mediante attività di agevolazione e comunque predisposizione dei mezzi”. Dalle indagini le forze dell’ordine sarebbero riuscite ad estrapolare una nuova mappatura delle ‘ndrine operanti nel mercato del racket bruzio che a detta degli inquirenti: “non è più quello che si conosceva un tempo, diviso zona per zona. Oggi chi arriva per primo si impone. Capita che da uno stesso imprenditore possano ‘passare’ anche più gruppi”. Una delle vittime posta di fronte all’evidenza dei fatti avrebbe infine corroborato la tesi avanzata dagli investigatori confermando la costante pressione estorsiva ad opera degli indagati di cui sopra.

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