Bimbo morto a Campagnano, fu negata la presenza della videosorveglianza

Ai carabinieri fu comunicato che le telecamere non erano funzionanti, ma in realtà ripresero cosa avvenne quel tragico giorno in piscina.

 

COSENZA – Si è tenuta oggi presso il Tribunale di Cosenza la prima udienza del processo sulla morte del piccolo Giancarlo Esposito. Il bimbo, di soli quattro anni perse la vita il 2 luglio del 2014, il giorno in cui aveva iniziato a frequentare il campo estivo organizzato all’interno della piscina di Campagnano. Per il suo decesso sono stati rinviati a giudizio per omicidio colposo le istruttrici Francesca Manna di 65 anni, Luana Coscarello quarantunenne, Martina Gallo classe 1993, Ilaria Bove ventiquattrenne ed il rappresentante legale della Cogeis a cui il Comune di Cosenza ha affidato la gestione della struttura, l’ex assessore allo Sport Carmine Manna. Nel corso del dibattimento sono stati ascoltati due dei carabinieri che intervennero sul posto nell’immediatezza dei fatti. Entrambi hanno confermato che il bambino si trovava nella piscina riabilitativa quando perse conoscenza. Un bacino d’acqua con un’altezza che varia da 76 a 173 centimetri con un percorso vascolare fatto da un muretto abbastanza alto da coprire la perfetta visuale di tutti i bimbi presenti in acqua. Inoltre nessuna delle vasche attive pare fosse profonda 60 centimetri come previsto dalla legge per l’accesso ai bambini. Le attività all’interno della struttura gestita da Manna non furono mai sospese, neanche subito dopo il decesso del bambino.

 

A raccontarlo è il luogotenente Parisi che ricorda di aver visto nelle altre piscine delle persone nonostante fossero passate solo due ore dalla morte di Giancarlo. Il carabiniere dopo aver riferito di una strana telefonata anonima in cui si parlava di Esposito, ricevuta dal 112 lo stesso giorno, ha fatto presente che quando chiese le registrazioni degli impianti di videosorveglianza gli venne risposto che le telecamere non funzionavano da tempo. Il sistema fu quindi posto sequestro e, come per magia, le immagini furono estrapolate e divennero oggetto d’indagine. La collega Lucia Variatore ha poi illustrato le pessime condizioni in cui verteva l’infermeria. Un luogo definito dalla maresciallo più simile a un magazzino con vecchi macchinari dismessi che non ad un ambulatorio medico, in cui mancavano sia l’ossigeno sia lo sfigmomanometro per misurare la pressione arteriosa. A seguito dell’autopsia sul corpo del bambino il medico legale, Francesco Vinci dell’Università di Bari, aveva accertato la morte per annegamento data la presenza di acqua nei polmoni e non per una malformazione del sistema cardiocircolatorio come inizialmente era stato ipotizzato. Nel processo si sono costituiti come parte civile i familiari del bambino che chiedono verità e giustizia. Il giudice Marco Bilotta ha aggiornato l’udienza al prossimo 22 giugno.

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