COSENZA – Affamati di giustizia e assetati di verità. Sono questi i sentimenti prorompenti, come un moto ondoso, che muovono
l’animo dei familiari di Giuseppe Celestino, un pensionato 75enne, residente a Castrolibero, di cui negli anni passati era stato anche amato ed apprezzato sindaco, “divorato” da un male incurabile, cinque mesi dopo il suo ricovero al “Gemelli” di Roma. Un bisogno di verità che i familiari del 75enne hanno espresso con una denuncia contro i medici dell’ospedale della Capitale. Per chiedere giustizia, i familiari del pensionato si sono rivolti all’avvocato Gianpiero Calabrese, penalista del foro cosentino che, attraverso la consulenza di parte dell’anatomopatologo Berardo Cavalcanti, è riuscito a dimostrare la stretta relazione tra la morte di Giuseppe Celestino e i medici che l’avevano in cura. La denuncia, formalizzata presso la Procura della Repubblica romana, ha permesso ai pm di iscrivere nel registro degli indagati quattro medici, tutti accusati di omicidio colposo.
LA STORIA – Il pensionato così come i suoi familiari, avevano deciso di scegliere il sistema sanitario della Capitale, perchè non si fidavano tanto di quello di “casa nostra”. E’ vero, con i se e con i ma, non si scrive certo la storia, ma oggi, a mente fredda, i parenti del 75enne, si domandano: e se fosse rimasto qui? Una domanda terribile, destinata, purtroppo, a rimanere senza risposte. La storia di questa brutta pagina di malasanità, che trova il suo epicentro, lontano dagli ospedali calabresi, come detto, si consuma a Roma. Giuseppe Celestino, scoprì, in seguito ad una serie approfondita e minuziosa di accertamenti clinici, di avere un tumore al retto. Decise di farsi visitare da uno specialista locale, che, prima di conferma la diagnosi, lo fece sottoporre a nuovi accertamenti. Ma Celestino e i suoi familiari, non si fidarono della sanità di casa nostra e decisero di riporre speranze di guarigione e di cure nell’equipe medica del reparto di Oncologia del Gemelli. I sanitari del nosocomio romano, dopo aver confermato la diagnosi, sottoposero il 75enne ad un aggressivo ciclo di radio e chemioterapia, che inizio nel febbraio del 2001, per concludersi a fine maggio. Ma la terapia oncologica, anzichè fermare il male, e dare al paziente la forza di reagire, scatenò una serie di patologie irreversibili gravi e strettamente collegate fra di loro che ne determinarono la morte.
LE TAPPE DEL RICOVERO – Come detto, Giuseppe Celestino, varcò la soglia d’ingresso del policlinico Gemelli, nel febbraio del 2001. Dopo tutti gli accertamenti, al paziente venne diagnosticato un tumore, curato con l’avvio della chemioterapia, avviata con un primo ciclo a marzo e con un secondo di richiamo a maggio. Il 21 maggio, Celestino venne dimesso dal Gemelli e rimandato a casa. I medici gli prescrissero un nuovo ciclo di chemioterapia per il mese di luglio. Ma il peggioramento delle sue condizioni di salute e l’aggravarsi del quadro clinico, costrinse i familiari del pensionato ad anticipare la data del nuovo ricovero. Purtroppo fu tutto inutile.
IL DECESSO – Il cuore di Giuseppe Celestino si fermò il 15 luglio del 2011. La morte, secondo il referto medico, fu inevitabile, causata da un tumore maligno al retto, neoformazione cerebrale, polmonite da aspergillosi, polmonite da stenotrofomonas, polmonite da citomegalovirus, insufficienza respiratoria, sepsi, nonchè uno choc settico. Un quadro clinico tragico. Una situazione medica generale irreversibile.
LA BATTAGLIA LEGALE – Alla notizia del decesso del 75enne, i suoi familiari avviarono la battaglia legale nei confronti di quei medici che l’ebbero in cura, convinti che dietro la morte del loro congiunto, ci fossero precise responsabilità. Non a caso, per come scritto dai familiari del pensionato nella denuncia, ogni qualvolta gli andavano a fare visita, lo trovavano, anche a distanza di ore e di giorni in stato di peggioramento. Un peggioramento che aveva effetti devastanti non solo nell’umore, ma anche nel fisico. Oggi con l’imputazione a carico dei quattro medici, i familiari di Giuseppe Celestino, intravedono uno spiraglio di speranza di vedere riconosciuto il loro desiderio di verità e la loro voglia di giustizia.