Cosenza, porto d’accoglienza per i migranti

COSENZA – In viaggio lungo tutti i Sud del mondo. Cosenza, seppur ancora scossa e ferita per la tragedia di via XXIV Maggio,

continua, nonostante le polemiche e le critiche, ad essere il porto per eccellenza dell’accoglienza di chi è in fuga. La Cosenza ospitale, la Cosenza accogliente, la Cosenza che, grazie all’impegno delle associazioni di volontariato, alla cultura antagonista e antirazzista e alla fede ultras, è diventata la città che apre la porta ai migranti, indipendentemente dalla loro etnia, dalla loro storia, dalla loro fede religiosa, dalla loro provenienza geografica. L’ultimo ad “attraccare” con la sua vita carica di speranza e di riscatto a questo porto dell’accoglienza, è – come scrive il collega Matteo Dalena, nel suo pezzo su Mmasciata.it (il progetto-cantiere di cultura giovanile, brillantemente diretto dal collega Alfredo Sprovieri, ndr) Moustapha, venticinquenne guineano. Il racconto del giovane della Guinea è di quelli forti. “Eravamo in troppi su quella barca, per la sete di 5 giorni c’era chi beveva l’acqua del mare. Chi non vomitava era piegato dal dolore. Su quella barca morirono in dieci, non ricordo nemmeno dove li mettevano i morti e preferisco non ricordare”. Cosenza, la “città dell’accoglienza” non può precipitare in un vortice d’indifferenza. Lui l’ha abbracciata da qualche mese, giusto il tempo di assaporarne lo spirito: “Mi trovo bene. Cosenza è accogliente e, a parte la tragedia del fuoco della scorsa settimana che può capitare veramente dovunque, qui c’è chi si occupa di noi, chi ci fa sentire attivi e utili e non parcheggiati come al centro di Rogliano”. Già. Rogliano. Il grosso centro del Savuto, a sud di Cosenza, con il suo polo di accoglienza è solo l’ennesimo “porto” di passaggio per questo ragazzotto che ha salutato la sua Conakry nel 2006 per partire alla volta della Libia: Tripoli significava lavoro, nuove opportunità, “un po’ come la vostra Lombardia, il vostro Nord, perché anche noi sappiamo di trovarci ancora, sempre a Sud”. Per cinque anni Moustapha lavora come meccanico, pochi dinari e tanta fatica a lavorare sotto il sole in una vecchia officina della capitale. Con circa 900 dinari libici, più o meno l’equivalente di 500 euro, c’è l’Italia dietro l’angolo: un sogno. La decisione è repentina e la vista di quella barca troppo piena fa tentennare per un attimo il ragazzo. Il viaggio dura sei giorni: il mare è piatto e il clima infuocato fa terminare presto le scorte d’acqua. L’Odissea arriva a Lampedusa ma, come nella canzone dei Fuori Tempo, la porta della vita è ancora chiusa. “Lampedusa un pò è ancora Africa, ma l’Italia si avvicina”. A Rogliano Moustapha incontra Mautari, giovanotto del Niger, anche lui proveniente da Tripoli su un’altra barca ma più fortunata: questa volta nessun caduto, nessun esborso per raggiungere le italiche sponde. Una famiglia numerosissima quella di Mautari, proveniente da Maradi, più o meno al confine con la Nigeria. Non può restare, la sua famiglia non ha sostanze per mantenerlo: da un confine all’altro, a Nord c’è lo stato libico e c’è sempre un Sud che lo insegue. Mautari è falegname ma disposto a tutto. Si inventa cuoco e all’occorrenza cameriere. La buona stella lo conduce a casa di Ahb Daodo, uomo di partito, “uno dei fedelissimi del defunto presidente Muammar Gheddafi”. Qui il ragazzo vive per cinque anni, lavora duro e si guadagna la stima del boss. Quando nel 2011 cominciano ad avvertirsi gli echi della rivolta, Mautari viene messo su una barca questa volta pagata: “Troppo pericoloso rimanere, troppo egoista a tornare in Niger”. Prima Lampedusa, poi Taranto, infine Rogliano. La sua strada incontra quella di Moustapha e di altri giovani, accolti nel centro con la dovuta cura ma senza sbocchi né speranza alcuna di vita sociale. “Il problema più grande a Rogliano è capirsi – spiega Mautari – tante, troppe lingue e diversità, poche, pochissime cose da fare. La noia ti prende e il tuo paese comincia a mancarti”. Ma poi al centro si presenta Gianfranco Sangermano, responsabile della sede cosentina del Movimento per la cooperazione internazionale. Vede quei due giovanotti dalle spalle forti immersi nel nulla e decide di portarseli a via Popilia nella sede polifunzionale. Il lavoro nel “MOCI” consente ora ai due giovani di vivere una vita dignitosa assieme ad un altro ragazzo senegalese in un mini appartamento di via Roma. L’organizzazione non governativa, operante in città del 2006, si occupa dell’assistenza di circa 20 senzatetto, per la maggioranza stranieri dell’Est europeo e del Nord Africa, soprattutto uomini la cui età media è di 45-50 anni. Grazie all’ingegno e alla creatività di un manipolo di giovani volontari vengono allestiti due capannoni multifunzionali che offrono una vasta gamma di servizi e opportunità. Dai corsi d’italiano per stranieri al doposcuola e all’attività ludico ricreativa che riguarda soprattutto i bambini d’etnia Rom per i quali viene svolto anche un sistema di monitoraggio delle presenze nei vari istituti scolastici, dallo sportello per il disbrigo delle pratiche e per l’assistenza legale fino alla raccolta della plastica rigida e al mercatino bioetico e solidale. E’ proprio questo il fiore all’occhiello della struttura: simile ad un mercatino delle pulci, vi si può trovare veramente di tutto e, con pochi euro, è possibile contribuire alla vita di un’indispensabile cosmo associativo. Negli spazi di via Popilia c’è chi tira calci ad un pallone, chi aiuta a scaricare il furgone, chi semplicemente staziona in attesa di ricevere una coperta, un consiglio legale o, più semplicemente, un po’ di considerazione. Saluto Moustapha, Mautari e tutti gli altri che, di nuovo come nella canzone “Vado Via” dei Fuori Tempo, salparono abbandonando la poesia.

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