COSENZA – L’innocenza venduta. Come avete avuto modo di leggere nel lancio precedente, a Cosenza è stata scoperta una “bancarella” del sesso, gestita da una 35enne di etnia romena, Elena Geta Cirar, finita ai domiciliari e una sedicenne che, nonostante la giovane età, si era ritagliata un ruolo da “manager” del piacere.
La storia, qualora ce ne fosse bisogno, evidenzia la parte della città più peccaminosa, quella abituata a comprare il piacere, meglio ancora se a regalarlo erano ragazzine, con il volto ancora da bimbe, i seni appena sbocciati e l’innocenza dipinta negli occhi. La 35enne e la sua socia, avevano messo in piedi un “emporio” della carne, con tanto di tariffario. Le due donne, secondo gli accertamenti investigativi, effettuati dai carabinieri del Norm, avevano nella loro “scuderia” diverse opzioni di scelta, in grado di soddisfare anche le più perverse richieste della cientela, composta, come spesso succede, da autentici insospettabili. Uomini, etichettati come perfetti padri di famiglia, mariti esemplari, compagni affettuosi, amanti soddisfacenti che, lontano dalle mura domenstiche, si svestivano dei loro finti abiti di perbenismo, mostrando la loro identità peggiore. Nomi? Nemmeno a parlarne. Il fascicolo aperto dalla Procura della Repubblica di Cosenza e arricchito dai riscontri fotografici e filmati dei carabinieri del Nucleo operativo e radiomobile cittadino, è coperto dal massimo riserbo istruttorio, anche per via di ulteriori sviluppi che potrebbero venir fuori a breve. Un altro dato che deve far riflettere è legato alla questione dei rom, di etnia romena. Lungi dall’intenzione di voler aprire una finestra sull’intolleranza, è facile capire che il fenomeno della prostituzione, scoperchiato, smantellato e fatto emergere dai militari dell’Arma, “innaffia” le sue radici nella bidonville di cartone, lungo le sponde del Crati. Per non dare nell’occhio, le “venditrici” di piacere, avevano pensato di stazionare, vestiti di stracci, nei classi luoghi simbolo della città, dove poter esercitare la loro richiesta di questua. Ma in diversi casi, oltre alla richiesta dell’obolo, per garantirsi sfamarsi, le stesse ragazze proponevano “incontri ravvicinati”, variabili dalle 50 alle 70 euro, con una sovratassa di 5 euro per “assaggiare” la carne più fresca e bella. Ma nel “mattatoio” in riva al Crati, c’erano anche madri che, anche loro diventate “merce” del piacere. Le donne, come riportate nel lancio precedente, infatti, si prostituivano con i figli al seguito. Dovremmo chiederci, cosa fanno tutte quelle associazioni, nate e diffuse a Cosenza, con l’obiettivo primario di difendere la questione dei rom di etnia romena. Si scende in piazza, si organizzano i sit in, si convocano riunioni e conferenze per garantire alle popolazioni romene maggiore visibilità e altrettanto rispetto. Tutto lodevole e sacrosanto. Ma perchè i componenti di queste stesse associazioni non denunciano quello che su succede nelle palazzine di cartone, lungo le sponde del Crati.