L’amore raccontato dagli “invisibili” venditori di rose

COSENZA – L’altra faccia dell’Amore. San Valentino, un po’ per questioni di cuore, per legami di fede e per ragioni consumistiche,

è una di quelle feste dove il sacro si mischia con il profano. Più che i sentimenti, si preferisce regalare qualcosa di più materiale, più evidente, più importante. Ma c’è al mondo un regalo, più importante del più nobile fra i sentimenti? Assolutamente no. Detto questo, vi racconto il mio San valentino, quello che pur essendo single, ho festeggiato lo stesso, o meglio il mio San valentino, lo festeggio tutti i giorni, per via del mio innamoramento folle per l’Amore. Ovviamente non è il racconto del mio San Valentino, è il racconto di cosa ho visto in questo San Valentino. A parte i ragazzi che, come scriveva Prevert, si amano si baciano in piedi contro le porte della notte, a parte le coppie navigate intente a camminare mano nella mano sulle vie del corso, m’hanno colpito i venditori ambulanti di rose, uomini, raagazzi, dal volto segnato dalla fatica e dalla stanchezza, con in mano fasci quintuplicate di rose, per l’occasione. Davanti ai bar, vicino alle porte d’ingresso delle pizzerie r istoranti, seduti ai semafori, coricati sulle panchine del centro cittadino, per tutta la giornata di ieri, sono stati loro i veri simboli della festa. Li ho visti, li ho osservati, li ho seguiti, fino a fermarli, per farmi raccontare da loro la festa dell’amore. Di amore, però, come purtoppo immaginavo, nelle loro parole, così come nei loro occhi, ne ho visto davvero poco. In molti di loro, il fuoco santo della passione, s’è spento, quando, dopo aver sborsato fiori di quattrini ai loro mediatori, si sono ritrovati in Italia, a riscuotere non la promessa di un lavoro, ma di una vita raminga e difficile per strada. Rachid, il primo con cui ho parlato, ha 26 anni, lui, come tanti altri, è del Bangladesh. Rachid, aveva sognato una vita diversa per lui e la sua famiglia, qui in Italia. Voleva studiare, voleva trovare un lavoro, voleva diventare qualcuno. Invece, i suoi sogni e quelli di molti altri suoi connazionali, sono morti non appena ha messo piede sul territorio italiano. Non per colpa dell’Italia o degli italiani, ma per colpa di quegli spietati venditori di anime e di identità del suo paese che gli hanno venduto l’idea di un mondo che non esite, ricattandolo e tradendolo “Mi danno sessanta rose ogni cinque giorni, le devo vendere tutte e portare indietro almeno cinquanta euro, se non lo faccio non entro a casa. Se guadagno anche qualche euro di meno, sono botte, botte che lasciano il segno”. Rachid ha quasi paura di raccontarsi e di raccontare la sua condizione, ma poi dopo aver bevuto un caffè insieme, decide di fidarsi. “Siamo ammassati in stanze che di umano non hanno assolutamente nulla. Non abbiamo diritti, nemmeno quello di cadere malati, o di non sentirci bene. Se proviamo a dire no, passiamo i guai. Siamo in tanti, ci sono anche i piccoli, anche loro sono costretti a vendere. Anzi – continua Rachid – alcun piccoli vengono strappati dalla lro famiglie, con la promessa di dargli un futuro migliore. E non solo, in cambio di questa promessa, i genitori naturali, devono anche pagare gli intermediati per il loro interessamento”. Già l’interessamento. Altro che un lavoro, un tetto sotto cui vivere e un futuro migliore. I trafficanti di anime non guardano in faccia nessuno. Questo per loro è un bussiness, redditizzio allo stesso modo degli affari sporchi con il traffico di armi, la prostituzione e la droga. rachida, così come altri suoi connazionali, non conoscono l’importanza simbolica del fiore che porgono ogni sera, ne testimoniano invece il valore universale e ne portano con loro solo le spine. Non sanno che la festa degli innamorati deriva proprio dal fatto che si dice che un martire cattolico – le cui spoglie sono conservate nel convento di Belvedere Marittimo dove, proprio ieri, 90 coppie hanno rinnovato il loro voto d’amore. Sanno solo che dovranno venderne di più per continuare a pagarsi l’alloggio e saldare l’oneroso prestito che le loro famiglie hanno contratto con gli stupratori di sogni che gli stanno accanto minacciosi ad ogni telefonata che riescono a fare ai genitori. Guai a parlare della loro vera condizione, e infatti ne parlano pochissimo anche con noi, spesso facendo finta di non conoscere la lingua, la odiano, come sono arrivati persino ad odiare il profumo delle rose. E noi che facciamo, li osseviamo, li guardiamo, forse, purtroppo, li anche scartiamo e li etichettiamo come parassiti, invisibili, gente che porta malattie, incrementa l’odio razziale e fa ricca la criminalità organizzata. Ecco, dovremmo, tutti e dico tutti, fermarci per un attimo a riflettere e pensare che ogni qualvolta ci fermiamo per regalargli un obolo in cambio di una rosa, pensiamo anche all’amore che la vita gli ha negato.

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