Giovani avvocati ‘poveri’ e tartassati, retroscena di un mestiere per chi ha le ‘spalle coperte’

Se hai soldi puoi esercitare la professione pagando, in assenza di fatturato, oltre mille euro l’anno.

 

COSENZA – Eleganti e dotati una buona dialettica, ma con pochi spiccioli in tasca. E’ questo il ritratto dei giovani avvocati del ventunesimo secolo. Con una lettera indirizzata al ministro del Lavoro Poletti e al Presidente della Repubblica Mattarella, una giovane avvocatessa cosentina, ha sollecitato l’annullamento dell’operazione Poseidone che prevede ulteriori aggravi fiscali per i legali che esercitano la professione. L’avvocato in questione nel 2009 ha presentato la sua prima dichiarazione dei redditi: un fatturato pari 479 euro di cui 216 euro da versare nelle casse dell’INPS. Una tassazione che secondo la giovane avvocatessa sarebbe in contrasto con la normativa vigente, in quanto frutto dell’iscrizione d’ufficio alla gestione separata effettuata dall’INPS, la quale pretende che il 27% del fatturato venga versato per la previdenza sociale. Tasse che gli avvocati dovranno liquidare senza alcun tipo di giustificazione visto che tutti i legali in Italia pagano già la propria cassa di previdenza ovvero la Cassa Forense in cui viene versato il 4% dei redditi provento dell’attività professionale. Un dato di fatto che oggi, dopo l’avvio dell’operazione Poseidone, viene ignorato con la conseguenza diretta che molti giovani avvocati pare si trovino nella condizione di dover pagare, anche in assenza di fatturato, oltre mille euro di tasse all’anno.

 

Infatti, pur non superando i 10mila e 300 euro di reddito al di sotto dei quali vigeva l’esenzione dal contributo soggettivo, oggi i legali sono obbligati a pagare alla Cassa Forense, oltre al 4%, un tributo ‘minimo’ uguale per tutti i giovani professionisti, a prescindere dal fatturato: 846 euro l’anno. Chi non paga verrà cancellato dall’albo degli avvocati e non potrà più esercitare la professione forense. Una realtà imbarazzante che scoraggia i tanti giovani che si affacciano all’avvocatura, a meno che non abbiano famiglie facoltose che possano sostenerne le spese. L’INPS infatti chiede che anche chi dichiara redditi al di sotto della soglia di povertà debba versare i contributi alla gestione separata. Costi a cui si aggiungono le spese tradizionali proprie della professione che ammontano a circa seicento euro: 130 euro di iscrizione all’albo professionale, 136 euro per la piattaforma necessaria per il processo telematico e 300 euro di assicurazione professionale l’anno. Un’anomalia che sarebbe stata creata con l’iscrizione forzata alla gestione separata INPS avviata nei confronti di neoprofessionisti che hanno presentato il primo fatturato nel 2009. Contributi previdenziali a fondo perduto (visto che ad erogare la pensione in futuro sarà la Cassa Forense) che costituiscono un aggravio ulteriore della condizione economica dei giovani avvocati, già costretti a lavorare gratuitamente per anni prima di sostenere l’esame di Stato per l’abilitazione alla professione. Un mestiere ‘povero’ destinato sempre più solo a chi proviene da famiglie benestanti che possano garantire la copertura delle spese necessarie per esercitare il proprio lavoro. Per chi non è ricco, invece, si apre l’immenso universo della disoccupazione post-laurea o (per i più ‘fortunati’) del doppio lavoro.

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