Per Giacomo Mancini Cosenza era immune alla criminalità organizzata, un fenomeno relegato solo ai paesi della provincia.
COSENZA – Era il 2000 quando lo affermò e dopo due anni a smentirlo fu la sua ‘delfina’ Eva Catizone. L’allora sindaco di Cosenza fu audito dalla commissione parlamentare antimafia tra cui membri appariva il rais della politica bruzia, Antonio Gentile. Nonostante l’attuale presidente della commissione Rosy Bindi abbia scoperto solo ieri che a Cosenza la criminalità organizzata esiste al pari delle altre province calabresi, il primo sindaco donna della città dei bruzi denunciò nella stessa sede con forza la presenza delle ‘ndrine ben tredici anni fa. Con le parole e con i fatti costituendosi come parte civile nel processo Luce che vedeva coinvolta l’associazione criminale capeggiata da Francesco Bevilacqua, meglio noto come “Franchino I Mafarda”. La Catizone aveva da poco ricevuto una missiva con un proiettile che la invitava ad ottemperare le promesse fatte prima della sua elezione. Intimidazioni ricevute, negli stessi giorni, anche da Nicola Adamo e Pino Gentile.
Nei mesi precedenti ben quindici omicidi erano stati consumati nell’area urbana. La Catizone era stata eletta alla carica di sindaco in Giugno, solo cinque mesi prima di sedere di fronte la commissione parlamentare antimafia e rendere la propria versione in merito alla presenza della criminalità organizzata in città. Le parole che usò caddero nel dimenticatoio pur essendo chiarificatorie di una situazione che a distanza di oltre un decennio sembrerebbe essere immutata. “Ci sono rappresentanti delle famiglie nomadi – si legge nel resoconto stenografico del sopralluogo della commissione – che vengono additati come capi cosche e che sono in collegamento con la realtà di Cassano Ionio. Una cittadina che è diventata un’importante centrale per il narcotraffico (addirittura gli inquirenti ipotizzano l’esistenza di una raffineria). Inoltre tutti sanno che Cassano sembrerebbe interessata da un traffico di rifiuti illegali. La comunità Rom viveva accanto a via Popilia, tradizionalmente centro della microcriminalità cittadina. Poichè in altri posti è raro che i Rom spaccino droga, la sensazione è che questa contiguità tra via Popilia e il quartiere smantellato, Gergeri, abbia di fatto favorito una sorta di collante tra la microcriminalità già esistente e i Rom arrivati successivamente.
Per alcuni degli omicidi che hanno interessato l’area urbana – continua Catizone – una delle ipotesi ricorrenti è che in qualche modo fossero connessi alle forniture, per esempio, del cemento per l’ammodernamento della Salerno – Reggio Calabria. Il vero problema è la frammistione tra le attività mafiose e i cosiddetti colletti bianchi, gli imprenditori. La cosiddetta borghesia cosentina, le ‘persone perbene’, prestano il fianco ad attività illecite e/o attività illegali. Basta leggere i giornali per vedere come ci sono alcuni imprenditori od ex sindaci che vengono accusati di attività illecite legate ad appalti e di commistioni con la mafia. Vi è un presunto legame tra gli omicidi e gli appalti. Mai l’imprenditoria cosentina – e questo è sintomatico – ha ravvisato problemi, sostanzialmente ha chiesto un percorso di legalità. Da questo punto di vista registro una sorta di atteggiamento omertoso”.
“Giacomo Mancini – sottolineò l’onorevole Renato Greco membro della commissione – nel 2000, alla nostra presenza, magistralmente difese la città di Cosenza, dichiarando che non vi era mafia e licenziandoci dicendo che avevamo fatto solo un giro turistico. Forse per troppo amore verso la sua città, non raccomandò di stare attenti. Se siamo tornati a Cosenza nel giro di due anni e rileviamo che la situazione si è aggravata, significa che evidentemente come sindaco forse non si era accorto che la situazione era ed è grave. Questa criminalità organizzata, si è infiltrata negli appalti pubblici oltre che nell’usura, nell’estorsione, nel riciclaggio e nel traffico di sostanze stupefacenti. Mi chiedo come mai in questo territorio non solo non siano state recepite le preoccupanti avvisaglie della criminalità mafiosa, ma siano state addirittura negate. Avevamo già percepito segnali di condizionamenti mafiosi nel settore degli appalti pubblici nel 2000 e forse anche prima. Intrecci mafiosi già posti in essere tra gli anni 1997 – 1999″.
Cosentino doc, Antonio Gentile non poteva esimersi dall’esprimere la propria versione. “Vivo a Cosenza – disse Gentile – però francamente sono rimasto allarmato dalle audizioni del prefetto e dei procuratori antimafia che hanno dato uno spaccato dellanostra città al quale anch’io stento a credere. La mafia ha alzato la testa in ogni settore sociale, si è intromessa anche in fenomeni gravi di economia criminale, ha fatto un salto di qualità si è inserita nei settori vitali della società, nei settori produttivi, partecipa regolarmente agli appalti di ANAS nelle autostrade”. Gentile infine concluse i suoi interventi con promemoria che suona come un monito alla giovane sindaco: “Lo dico a suo e a nostro favore: gli inquirenti hanno escluso a Cosenza un legame tra politica e mafia”. Ciò che oggi si registra è lo specchio, più sporco e impolverato, di quello che venne denunciato tredici anni fa. Tempo prezioso perso, come emerso ieri al termine delle audizioni della commissione parlamentare antimafia, non si sa se per carenza di organico, per incompetenza degli inquirenti o per connivenze con gli ambienti criminali.