Un delitto che avrebbe dovuto sancire la tregua tra i Bella – Bella e il clan di San Vito, ma di cui non si ha alcuna prova.
COSENZA – Di Angelo Cerminara, 33enne con alle spalle ben 14 anni di detenzione per l’omicidio del pompiere Gianfranco Colucci, a nove anni di distanza dalla scomparsa non vi è traccia. Il suo corpo non è mai stato ritrovato, mentre mandanti ed esecutori di quello che verosimilmente è stato definito un caso ‘eccellente’ di lupara bianca restano tuttora ignoti. A ricordare gli ultimi momenti in cui il giovane fu visto tra le strade di Cosenza, solo le immagini dei sistemi di videosorveglianza che immortalano la sua presenza tra le palazzine del quartiere San Vito prima di salire a bordo dell’auto di Cesarino, all’anagrafe Riccardo Greco, raggiungere piazza Europa per incontrare il ‘vichingo’, Vincenzo Liberato Candreva, e poi scomparire nel traffico in compagnia dei due affiliati al clan rivale.
L’intenzione di migrare dal sodalizio criminale della famiglia Bruni alla consorteria di San Vito avrebbe sancito, secondo gli inquirenti, il proprio destino. Per placare gli animi Domenico Cicero avrebbe deciso di eliminarlo. Per sempre. In realtà non esiste alcuna prova del maldestro tentativo di ristabilire con il sangue la pax mafiosa in città. A nulla sono valse le dichiarazioni dei pentiti susseguitesi dopo la prima sentenza di assoluzione emessa dalla corte d’Assise di Cosenza per i tre imputati Cicero, Candreva e Greco (ufficialmente morto suicida nel carcere di Rebibbia). Dedato, Foggetti, la polacca Kopaczynska e Galdi additarono il boss come presunto mandante, ma nonostante per i tre il sostituto procuratore Facciolla abbia richiesto l’ergastolo i collaboratori sono ieri stati ritenuti inattendibili in merito alle informazioni rese nel caso Cerminara.
Non vi sarebbe alcun movente per giustificare la volontà di Cicero di sbarazzarsi di Cerminara. Anzi pare che fu lo stesso Michele Bruni a minacciarlo di morte con una missiva al vetriolo inviata dal carcere di Livorno. Le forze dell’ordine in aula smentirono le dicerie sulla volontà del 33enne di collaborare con la giustizia. Inoltre la truffa che Angioletto orchestrò senza autorizzazione, cui proventi non furono mai spartiti tra i ‘compari’, pare sia stata portata a termine ai danni di un rivenditore di auto amico dei Bruni e non del clan di San Vito. Rilievi che hanno spinto ieri la Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro ad assolvere sia Candreva sia Cicero.