“Un’operazione che ha visto l’impegno di tre forze di polizia che hanno lavorato in sinergia come se fossero una cosa sola”.
CATANZARO – E’ il passaggio principale delle dichiarazioni del Procuratore capo della Dda di Catanzaro, Nicola Gratteri nella conferenza stampa per illustrare i dettagli del blitz “Testa del Serpente” compiuto stamattina dagli uomini della Guardia di Finanza, dei Carabinieri di Cosenza e della Polizia, che hanno lavorato con “grande qualità e professionalità”.
Ci sono omicidi, gambizzazioni, pestaggi in pubblico, ma anche estorsioni e usura, messi in atto con metodi feroci. A delineare le dinamiche e gli affari illeciti della ‘ndrangheta cosentina è stato, in conferenza stampa proprio il procuratore Gratteri, insieme al procuratore aggiunto Vincenzo Capomolla e ai vertici delle tre forze di polizia giudiziaria che hanno lavorato insieme, ognuno per una parte di propria competenza, con risultanze poi confluito in un lavoro comune che ha fatto ulteriore luce anche sull’omicidio di Luca Bruni, il presunto boss scomparso il 3 gennaio 2012 e il cui cadavere venne ritrovato solo nel dicembre 2014.
Capomolla, in particolare, si è soffermato sull’assetto ‘ndranghetistico nel Cosentino determinato dall’equilibrio raggiunto con la sigla dell’alleanza tra le due cosche egemoni: “Una sorta di confederazione, estremamente brutale e aggressiva quando – ha rivelato il procuratore aggiunto della Dda di Catanzaro – quando si trattava si tratta di regolare i rapporti criminali (a esempio, contrasti nello spaccio della droga) ma anche vicende personali, come transazioni economiche o acquisti di terreni. Da segnalare poi l’evoluzione della cosca di etnia rom, che nel tempo ha conquistato un’autonomia criminale che – ha rilevato Capomolla – l’ha portata a sedersi, alla pari, ai tavoli con le consorterie più forti della città di Cosenza”. In più circostanze, hanno poi spiegato gli investigatori in conferenza stampa, anche persone della cosiddetta “Cosenza bene” si sarebbero rivolte agli esponenti delle cosche affinché esercitassero una pressione mafiosa su un proprietario restio a cedere un terreno”.
Ma l’arroganza della confederazione tra clan degli “italiani” e degli “zingari, hanno evidenziato gli inquirenti, si esplicava anche nelle forme classiche delle minacce e delle intimidazioni a imprenditori e commercianti, sottoposti a un racket “condotto a tappeto, a macchia d’olio su tutto il territorio”, e sottoposti anche a pestaggi in pubblico, e nell’uso delle armi, necessarie a esempio per gambizzare due pusher che avevano provato a mettersi in proprio nello spaccio degli stupefacenti.
Clan soffocavano gli operatori commerciali
“Un’operazione che ha delineato il quadro degli organigrammi dei due clan dominanti a Cosenza, gli italiani e gli zingari. E’ stato importante raccogliere – ha dichiarato il comandante provinciale dei carabinieri di Cosenza Piero Sutera – una serie di riscontri su un complesso di attività criminali che vengono compiute ormai da tempo sul territorio ed in particolare su quello delle estorsioni che è molto diffuso”.
“E’ stato documentato con attività tecniche approfondite, videosorveglianza e riscontri sul territorio che gli operatori economici erano soffocati dalla presenza oppressiva di queste cosche. Ma di fronte a questo, qualcuno si è ribellato ed ha approcciato i carabinieri chiedendo protezione. E credo – spiega Sutera – che questo sia un passo importante per la Calabria perché indica che si sta avviando un circuito virtuoso, frutto dell’azione incisiva svolta dalle forze di polizia coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia”.
I proventi di droga e pizzo finivano nella ‘bacinella’
“La spartizione era netta e frutto di un accordo forte – spiega ancora il comandante dei carabinieri di Cosenza – e i proventi delle attività delittuose finivano nella cosiddetta ‘bacinella’ dei clan. L’attività estorsiva determinava introiti importanti per le casse della criminalità organizzata e rappresentava di conseguenza un modo per estrinsecare in maniera evidente, il controllo ferreo del territorio e questo è un fattore e importante per qualsiasi organizzazione crimnale”.
Il Questore di Cosenza, Giovanna Petrocca, ha sottolineato come questa operazione abbia “decapitato i vertici delle due cosche più importanti della città e della provincia. Un’operazione complessa, è durata diversi mesi, che ha visto la collaborazione di tre forze di polizia magistralmente dirette dalla Dda”.
Il comandante della Guardia di Finanza, Danilo Nastasi ha spiegato poi il ruolo degli uomini della Guardia della Finanza la cui attenzione investigativa “si è concentrata su Roberto Porcaro, ritenuto esponente di spicco del clan Lanzino-Ruà-Patitucci, che è stato sottoposto a fermo stamattina. Sono state contestate condotte estorsive ai danni di attività commerciali ed in particolare ai danni di un’attività di ristorazione a Rende. Sono state riscotruite le dinamiche di questa richiesta estorsiva, presso la cui attività commerciale lavorava il cognato. Inoltre sono stati acclarati anche il possesso di armi comuni da sparo, con un sequestro avvenuto già a settembre scorso, pistole con matricola abrasa, un chilo e mezzo di cocaina e varie cartucce. Elementi investigativi che hanno portato stamattina all’esecuzione del fermo”.