Lupi Alè: la mia prima volta al Marulla ed è già una “malattia che non va più via”

Per Silvia Di Napoli è stata la prima volta allo stadio, e ha voluto raccontare la sua emozione, la sua esperienza, attraverso le pagine di QuiCosenza: “sembrava impossibile ma questa è già una malattia che non va più via”.

 

COSENZA – “Lo scorso sabato, alla veneranda età di 28 anni, sono stata per la prima volta a vedere il Cosenza Calcio allo stadio San Vito – Gigi Marulla. Mi è sempre piaciuto il calcio, lo trovo uno sport molto bello da guardare e soprattutto sono sempre stata molto affascinata dal tifo, per il suo valore culturale, antropologico e sociale. Quindi in un certo senso ho sempre seguito anche l’andamento del Cosenza, anche perché in una città come la nostra è pressocchè impossibile rimanere impassibile di fronte alla potenza del #rossoblu”.

“Eppure, non ero mai andata allo stadio – racconta Silvia – e non avevo mai visto giocare dal vivo la nostra squadra, e ora che ci ripenso non riesco a capacitarmi di come sia stato possibile, perché è stata un’esperienza sensazionale. Effettivamente ne avevo voglia già da tempo, perché mi piace sempre guardare con i miei occhi le cose, per coglierne ogni piccola sfumatura, finalmente qualcuno ha esaudito questo mio desiderio e mi ha regalato una prima volta decisamente da ricordare”.

“Si giocava alle 15.00 contro il Cittadella e sembrava uno di quei pomeriggi che preannunciano la primavera, con la luce grigia perché le nuvole coprono il sole, ma la temperatura mite. Avevo un po’ di ansia da prestazione, li conosco i tifosi, avevo paura che se avessimo perso mi avrebbero accusato di essere di malaugurio e non mi ci avrebbero più portato. Per fortuna abbiamo vinto!”.

“Ero molto emozionata e anche io ci ho messo del mio, scegliendo un look rigorosamente rosso e blu, visto che non posseggo una sciarpa. Tutti avevano una sciarpa o una bandiera o almeno una spilla o un adesivo, ho notato che va di gran moda portare la sciarpa legata alla vita e ho scoperto che la sciarpa è personale, sempre la stessa, unica e sola. Già all’arrivo sono stata colpita dall’aria che si respirava, proprio un’aria di raduno e di festa e ho notato con mia somma gioia che eravamo in tantissimi e tutti diversi. Si, perché allo stadio ci sono tutti, e risvoltini e tute della Legea convivono pacificamente condividendo un unico amore.

Non è che forse il calcio abbatte ogni barriera sociale e non lascia posto a discriminazioni di nessun tipo?!

A tal proposito, i miei preferiti erano i bambini, ne ho visti tanti ma non abbastanza, e se c’è qualcuno del mondo della scuola qui all’ascolto, colgo l’occasione per suggerirvi caldamente di portare i vostri ragazzi allo stadio a vedere la partita, è un’esperienza ludica e istruttiva, che aggrega e che potrebbe renderli ancora più consci del valore dello sport e più partecipi alla vita cittadina”.

“Mi dicono che saremmo andati in tribuna, che nel mio settore avevano messo i seggiolini ma che non mi sarei dovuta sedere (come? Devo stare in piedi per più di 90 minuti? Che vuol dire che non mi posso sedere?). In effetti poi ho constatato che non avrei davvero potuto sedermi perché nella tribuna B si sta tutti in piedi sui suddetti seggiolini per farsi notare di più”.

“Quando entro vedo uno stadio quasi pieno, bello! Mi fanno notare un gruppo molto esiguo di persone con colori diversi: sono i tifosi del Cittadella e sono solo in 8, ma so che noi in trasferta raggiungiamo numeri a 3 cifre e questo mi fa apprezzare ancora di più questi adorabili lupacchiotti”.

“Io pensavo che ci si sedesse dove meglio si credeva e che il tifo fosse sparpagliato, invece ho scoperto che ci sono dei punti appositi in cui è concentrato, e per mia fortuna – racconta entusiasta la neo tifosa –  io sono stata in uno di questi, nella “tribuna dove si canta”. Niente è lasciato al caso, come nei migliori rituali ci sono dei tempi, delle regole e delle valenze”.

Cantare

“Cantare è davvero molto importante, più di quanto potessi immaginare; i primi cori vengono intonati da prima del fischio di inizio. Si canta dall’inizio alla fine, sempre, senza tregua, e tu non puoi non cantare perché “Chi nun canta è nu minkiù”. Ci sono bandiere giganti che vengono sventolate con forza e soprattutto ci sono alcuni che si occupano della direzione artistica del tifo. Si tratta di figure mitiche e mitologiche con un’incredibile verve, forza nei polmoni ed occhio attento che, dotati di megafono, danno il via ad ogni coro, ti dicono quando battere e alzare le mani (ah si, mi era stato detto “quando ti dicono di alzare le mani, tu alza le mani”) e controllano che ogni tifoso stia facendo il suo ruolo di tifoso, con tanto di rimprovero se ti stai distraendo al telefono. Insomma, un po’ un docente, un po’ vero e proprio mister che conosce i suoi e sa come farsi obbedire (mi ha talmente tanto suggestionato che io stessa ho avuto paura a tirare fuori il telefono, lo ho usato perché non potevo fare a meno di immortalare cotanta bellezza, ma pochissimo)”.

“Sì perché il tifo è parte integrante della squadra e ha l’onorevole compito di incitare, supportare e rimproverare gli eroi nell’arena. Si canta talmente tanto che la partita quasi passa in secondo piano, c’è qualcuno che non la guarda nemmeno, come il “capo” del tifo, che sta tutto il tempo volto verso gli spalti e dando le spalle al campo! La cosa che mi è piaciuta di più è che in alcuni momenti ero così presa dal cantare e dal guardarmi intorno che mi dimenticavo di essere allo stadio e che stavo guardando una partita di calcio. Per la precisione ero così intenta a ripescare nei meandri della mia memoria quei cori imparati da piccola sul pulmino di scuola (a proposito, ho visto tutti i miei compagnucci dalle scuole elementari in poi: da questo punto di vista sono sempre uguali) che sembrava proprio di essere ad un concerto in attesa del classico “si, questa la so!”. Ci tengo a precisare che i testi dei cori sono “poesia pura”.

I fischi

“Altra componente fondamentale sono i fischi, che si fanno estremamente intensi e si accompagnano a fortissimi “buuuuuuh” ogni volta che la palla entra nella nostra metà campo, e i suggerimenti urlati ai calciatori, tra tutti spiccano “E passalaaa” e “E Pijiala piii”, d’altronde è tutto un passa e prendi, ci sta”.

Il goooaaalll

“Da un punto di vista tecnico il Cosenza stava giocando bene, dominava sugli avversari, solo che proprio non ce la faceva a portare a termine le innumerevoli azioni gol. Posso dirlo pure io, ci siamo fumati un sacco di goal. E poi con tutto quel tifo, pensavo “come fate a non segnare, dai, ve lo stanno chiedendo per favore!. Inoltre, avevo così voglia di vedere lo stadio impazzire nell’esultanza che desideravo ardentemente che qualcuno segnasse. E finalmente qualcuno ha segnato, tale Sciaudone all’inizio del secondo tempo. E boom. Lo stadio è esploso. Bellissimo, ho avuto paura di essere travolta, ma bellissimo. Altre azioni fallite e poi un altro goal di Tutino che non sono riuscita a capire se lo odiamo o lo amiamo”

E così la partita finisce con una vittoria, 2-0. Menomale, non sarò bandita dallo stadio!

Mi è piaciuto così tanto che non solo voglio tornarci, ma la prossima volta voglio andare in trasferta. E ci voglio andare con uno di quei pullman organizzati, perché so che renderà questa esperienza ancora più magica. Perché quello che ho capito è che fare il tifo conta di più di vedere la partita, perché la squadra cambia e andare allo stadio non vuol dire solo vedere 11 omini in calzoncini che sfidano a suon di colpi ad un pallone altri 11 omini in calzoncini, ma vuol dire supportare un’entità che è cuore pulsante della città. Perché la squadra cambia ma il Cosenza resta, e gli Ultras pure“.

#WolvesOnFire

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