Clan a Cosenza prima e dopo Franco Pino, dai pranzi con i Mancuso agli accordi in carcere

Ritrovamenti di armi e droga in città e nella provincia lasciano ipotizzare nuovi equilibri in divenire

 

COSENZA – Armi, vetture in fiamme e boss dietro le sbarre a Cosenza. Numerosi i ritrovamenti di fucili, rivoltelle e kalashnikov tra la provincia e il centro città. Tra gli arsenali scoperti di recente, uno a pochi passi dal Tribunale in via Silvio Sesti, in dei borsoni nascosti in auto insieme a divise dei carabinieri contraffatte e cocaina. Per non dimenticare l’intercapedine della palazzina dell’Ultimo Lotto di via Popilia che dietro ad un barile nascondeva pistole, un silenziatore e ben due tipi di eroina ancora da tagliare. Episodi apparentemente ‘normali’ in un territorio in cui opera la criminalità organizzata, ma che alla luce dei duri colpi inflitti ai clan dai vari procedimenti giudiziari, inducono ad ipotizzare una mobilitazione per ‘accaparrarsi’ controllo e supremazia. Anche gli incendi di auto e magazzini (circolo Panebianco, supermercato Andreotta, ecc.) destano allarme. Potrebbero indurre a ritenere che qualcosa si stia muovendo e che qual clan cerchi di ricostituirsi iniziando a mostrarsi sul territorio con la solita prepotenza. La Procura di Cosenza ha documentato l’amplia diffusione di droghe di tipo leggero e pesante. Un mercato particolarmente redditizio su cui sono rivolte le attenzioni dei gruppi criminali. Clan di cui negli anni sono state illustrate le gerarchie anche grazie al contributo dei collaboratori di giustizia, ma che oggi probabilmente sono state (o stanno per) essere ridisegnate. I rapporti con le ‘ndrine delle altre province hanno permesso, negli anni, di capire ‘chi rappresenta chi’, la propria zona di competenza e mansione.

 

IL PRANZO DAI MANCUSO CON FRANCO PINO

A partire dalle dichiarazioni del boss ‘dagli occhi di ghiaccio’ Franco Pino. Il collaboratore di giustizia cui ‘pentimento’ scompagina gli equilibri della mala cosentina ha raccontato ai Pm della Direzione Distrettuale antimafia di un pranzo tra ‘capi’ in un villaggio turistico di Nicotera nel 1992. Alla ‘corte’ dei Mancuso, accolti da Luigi Mancuso, tra gli invitati Santo Carelli da Corigliano, Cataldo Marincola, Giuseppe e Silvio Farao per Cirò, Nino Pesce da Rosarno, un figlio di Paolo De Stefano per Reggio Calabria, Franco Coco Trovato boss della ‘ndrangheta in Lombardia, Franco Pino e Umile Arturi da Cosenza. “Ognuno di noi rappresentava qualche cosa, chi di più, chi di meno, – spiega Franco Pino ai Pm – però ognuno rappresentava qualche cosa. Abbiamo pranzato, si parlava del più e del meno, e poi, ad un certo punto, Nino Pesce che parlava anche a nome dei Piromalli di Gioia Tauro introdusse il discorso che c’erano persone di Palermo (tra cui Totò Riina ndr) che avevano invitato personaggi della ‘ndrangheta calabrese a unirsi a loro per perpetrare degli attentati a obiettivi istituzionali. In quella sede, Mancuso non condivideva questo tipo di strategia”. Tattica che sarebbe servita per costringere lo Stato ad una trattativa, ma che non fu decisa in quella riunione.

 

LE LITI TRA COSENTINI IN CARCERE

Dei rapporti gruppo tra i ‘cosentini’ e la potente cosca Mancuso dopo il ‘pentimento’ di Franco Pino parla Vincenzo Dedato. Quest’ultimo è ritenuto dagli inquirenti il contabile delle cosche confederate cosentine. Inizia a collaborare con la giustizia nel 2007. “All’uscita di Ettore Lanzino dal carcere nel ’99 sono andato a trovarlo a casa sua. Era ai domiciliari, – spiega Dedato – mi disse che c’erano state delle discussioni in carcere tra i vari gruppi (o meglio quello che restava dei vari gruppi) e di riorganizzare il tutto. Loro avevano parlato con Aldo Chiodo, con Cicero e si era stabilita una certa pax all’interno del carcere di Catanzaro con il gruppo Perna. Per arrivare a ciò era intervenuto uno ‘da fuori’: Luigi Mancuso. Avevano così stabilito nel ’98 che su Cosenza potevano esercitare il predominio due capi società e bisognava far riferimento a Franco Perna e Gianfranco Ruà. Non era pace era soltanto il ricostituire qualcosa perché erano stati scompaginati dall’operazione Garden. Quindi il discorso era: nel momento in cui ci sono dei pentiti che ci stanno rovinando, è inutile stare a dire: “Noi siamo del gruppo Perna, noi siamo del gruppo Pino facciamo un gruppo unico e vediamo quello che si deve fare”.

 

Lanzino stava per uscire, subito dopo dovevano essere scarcerati anche Pellicanò che era un nostro sodale dai tempi del ’78 e Mario Gatto di cui ci si fidava tanto. Eravamo pronti. C’era in ballo – racconta il ‘contabile pentito’ – un’estorsione molto grossa e quindi, diciamo, c’era già la possibilità di autofinanziarsi immediatamente. Si trattava dei lavori di rifacimento del centro storico, l’impresa della zona Longo di Catanzaro. Dovevo essere io quello ad andare a riscuotere i soldi. Poi sono usciti Presta e Carmine Chirillo e abbiamo fatto una riunione tutti assieme. Abbiamo prospettato come prendere, diciamo, in mano il territorio. Si era stabilito di fare una squadra che si attivava per compiere determinati reati, tipo omicidi, una squadra per compiere estorsione, una squadra eventualmente per gestire i soldi e i proventi di tutte le varie attività che si sarebbero messe in circolo. A deciderne i componenti eravamo io e Lanzino. Per gli omicidi c’erano Chirillo, Presta e Gatto poi c’era Pellicanò che era diciamo intercambiabile io gestivo le estorsioni e Lanzino coordinava il tutto senza partecipare, diciamo, infatti io gli davo il soprannome del Principale”.

 

IL ‘POTERE’ VISTO DA FRANCHINO I MAFALDA

Analoghe dichiarazioni sugli accordi siglati in carcere sono state rese dal collaboratore Bevilacqua Francesco, detto Franchino di Mafalda. Il collaboratore di giustizia vicino al gruppo degli ‘zingari’ confermava che su Cosenza dopo il ‘pentimento’ di Franco Pino esercitavano il predominio, anche se detenuti, Francesco Perna, detto Franchino e Gianfranco Ruà, attraverso l’operato dei rispettivi luogotenenti, Cicero Domenico e Lanzino Ettore. Nel 2001 indica i nomi di alcuni dei vari associati ai due gruppi ‘confederati’. Per Ruà afferma operassero in primo luogo Lanzino, poi Dedato, Pellicanò ‘buonanima’, Chirillo, Gatto, Presta e Marincolo ‘U biondo’. Per i Perna all’epoca, a suo dire “Micuzzu Cicero a cui è stata data carta bianca”, Alfonsino Falbo, Claudio Perna, Aldo e Silvio Chiodo, Giovanni Giannone. “Chi amministrava – dichiarò Francesco Bevilacqua – era Dedato, però senza la parola di Ettaruzzu non si muoveva niente. Per il gruppo Perna se la vedeva Chiodo perché Micuzzu era troppo impegnato doveva anche lavorare. L’accordo era questo in carcere. Via libera ad Ettaruzzo per Ruà, Micuzzu per Franchino che poi subentrava pure Chiodo che ha cercato il chiarimento con Ettaruzzo riguardo la morte del fratello. L’idea era ‘non ci spacchiamo fra noi, ormai dopo questo bordello cerchiamo di fare una cosa sola’, meno il Sena che era diciamo amico dei Bruni”.

 

PARLA L’AUTISTA DEL CONTABILE DELLE COSCHE PENTITO

Amodio Francesco, braccio destro di Dedato, anch’egli collabora con la giustizia e fornisce agli inquirenti nel 2002 uno descrizione della ‘nuova’ compagine criminale affermatisi a Cosenza. “Hanno fatto capo società a questo Ruà, – afferma Amodio – che io avrò visto si e no una volta sola o due volte al massimo diciamo e poi viene Lanzino con Cicero, quindi dovrebbe essere Perna – Ruà – Lanzino e Cicero diciamo. E poi c’è Chirillo che ha il potere di essere pure in autonomia, però diciamo sempre sotto le direttive di Lanzino, cioè è un’unica cosa. In ogni modo se si deve prendere una decisione la può benissimo prendere pure Chirillo. Poi c’è Presta che è dalla parte di Tarsia che, rispetto a Lanzino e Cicero, ha lo stesso potere decisionale di Chirillo, insomma possono agire da soli. Anche perché poi i proventi vengono suddivisi tra loro, vanno sempre nella stessa cosa. C’è anche Gatto che è un ragazzo che è cresciuto molto stimato all’interno e all’esterno. Il posto di contabile che aveva Dedato invece lo ha preso Pezzulli. Che è stato ammazzato”. Trascorsi oltre dieci anni con i boss dietro le sbarre le gerarchie sono sicuramente mutate. L’effervescenza delle attività criminali in città lascia pensare che i nuovi equilibri potrebbero ancora essere in divenire, senza un assetto ben definito. Soprattutto alla luce dell”’avanzata” del clan Rango – Zingari.

 

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