Caso di malasanità all’Annunziata. Tre medici e un tecnico radiologo dovranno rispondere di negligenza, imprudenza e imperizia nei confronti di una 38enne
COSENZA – E’ iniziato il processo per quattro sanitari, un tecnico e un medico radiologo, un medico vascolare e un medico specialista ortopedico , tutti operanti presso l’Annunziata di Cosenza, accusati di negligenza, imprudenza e imperizia per aver cagionato ad una donna madre di due figli all’epoca dei fatti 38enne, una lesione personale gravissima consistita nell’amputazione dell’arto al III superiore di gamba sinistra a seguito di una sopraggiunta trombosi dell’arteria poplitea.
I fatti risalgono all’aprile del 2015. Più in particolare il primo aprile di tre anni fa, la donna venne trasportata presso il pronto soccorso a seguito di una caduta che le provocò un violento impatto del ginocchio sinistro a terra. La donna accettata in triage fu trasferita per gli accertamenti di routine al reparto di radiologia. Secondo gli inquirenti il tecnico di radiologia avrebbe eseguito scorrettamente gli esami radiografici, determinando la mancata diagnosi delle fratture e lussazione di tibia e femore. Il medico sempre del reparto di radiologia sui referti presentati dal paziente avrebbe omesso di diagnosticare la frattura del piano tibiale, il distacco del condilo femorale e la lussazione della tibia, non permettendo all’ortopedico la valutazione specialistica necessaria a porre diagnosi ed indicazioni alla immediata stabilizzazione delle fratture ed alla riduzione della lussazione. Il medico vascolare nell’eseguire l’esame ecodoppler , non avrebbe diagnosticato le alterazioni del flusso correlate alla lacerazione dell’arteria tibiale anteriore, posteriore e la lacerazione dei vasi, limitandosi ad eseguire l’esame dell’asse venoso e a segnalare l’assenza di disturbi trofici, non consentendo all’ortopedico di disporre esami approfonditi mediante una angiografia con cui si sarebbe potuta trattare tempestivamente la lesione vascolare;
L’ortopedico avrebbe omesso di eseguire un esame obiettivo volto a diagnosticare la frattura del piatto tibiale, il distacco del condilo femorale mediale, la frattura del perone sinistro e la lussazione posteriore della tibia e avrebbe omesso di valutare l’adeguatezza degli esami radiografici, l’incompletezza dello studio ecodoppler, di valorizzare la presenza dell’ematoma del cavo popliteo e muscolare, non trattenendo la paziente in ospedale anche per procedere ad una ulteriore valutazione con la conseguenza dell’aggravarsi del quadro clinico fino a giungere all’amputazione dell’arto.
La donna cadde il primo aprile del 2015 mentre accompagnava uno dei due figli a scuola. Recatasi al pronto soccorso fu medicata e dimessa con una terapia farmacologica. Ma durante i sette giorni di terapia necessari per ritornare a visita di controllo, il suo piede divenne sempre più nero e gonfio. In ospedale i sanitari la informano che il perone fratturato aveva reciso l’arteria femorale. L’arto è ormai in necrosi e l’infezione in corso. Per i sanitari si rese indispensabile l’amputazione della gamba sino al ginocchio. Un postoperatorio ancora più doloroso. Le condizioni di salute della 38enne continuarono ad aggravarsi finché il marito non decise di trasferire d’urgenza la moglie al Sant’Orsola di Bologna dove fu sottoposta al altri sei interventi chirurgici