Estorsione Magnolie, il fratello della vittima ricorda la richiesta di “pizzo”

Imputato Ivan Barone, accusato di avere intimidito la vittima utilizzando il nome di un appartenente alla cosca Rango – Zingari

 

COSENZA – Estorsione Magnolie, imputato Ivan Barone in un processo in mano alla Distrettuale, per dimostrarne la colpevolezza. Insieme a lui era imputato Antonio Marotta condannato in abbreviato a quattro anni. Per entrambi l’accusa è di avere in concorso morale e materiale tra loro con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, mediante minaccia consistita nell’avvalersi del potere di intimidazione derivante dalla spendita del nome di Daniele Lamanna, noto appartenente alla cosca “Rango – Zingari”, operante sul territorio di Cosenza e così manifestando la loro contiguità alla predetta cosca, recandosi in più occasioni presso il ristorante pizzeria “Le Magnolie””. Per la Dda entrambi sarebbero appartenenti al clan – zingari. L’estorsione avvenne nel 2015, ma il locale fu vittima di un’altra estorsione nel 2013 finita nella maxi indagine antimafia “Nuova Famiglia-Doomsday”. Ieri in aula il pubblico ministero Camillo Falvo della Dda nell’udienza in seduta collegiale presieduta dal giudice Carpino, ha sentito teste il fratello della vittima, ossia il proprietario delle Magnolie, una delle dipendenti in quell’anno della pizzeria e due operatori di polizia.

 

Rispondendo alle domande della pubblica accusa il fratello della vittima ha raccontato «Di tanto in tanto collaboro con mio fratello. Lo facevo soprattutto nel 2015 – 2016. Sono stato già sentito dalla questura. I fatti del 2015 li ricordo bene perché in quel periodo, mio fratello e l’attività avevano subito una tentata estorsione. Era il mese di dicembre, un sabato, il 5 dicembre verso le 22.30. Io ero al locale. C’erano pure amici. E’ consuetudine chiacchierare con persone di mia conoscenza. Ero vicino l’ingresso, si sono avvicinate due persone, una tarchiata e una un po’ più alta con la carnagione scura, sull’olivastro. Mi chiese se fossi il proprietario  del locale. Io risposi no e indicai mio fratello Marco. Mi è sembrato molto strano Nell’indicare la persona di mio fratello li seguii. E quesata persona un po’ più alta che poi scoprii si chiamava Antonio Marotta durante la deposizione in questura il 5 marzo attraverso un album fotografico indicai la persona nello specifico. Erano due soggetti ma chi ha parlato è stato quello più alto, Marotta. L’altro non parlava ma ascoltava. In quell’occasione ero presente io. Poi personalmente non li ho visti più. Mio fratello mi ha detto che questi due soggetti continuavano a dargli fastidio con pretese non lecite». Al teste è stato sottoposto un album fotografico in cui ha riconosciuto i due imputati.  La difesa di Ivan Barone, rappresentato dall’avvocato Gelsomino, ha chiesto al teste di capire meglio cosa avesse detto a Marotta, il fratello durante il colloquio. «Ha intimato di dire i nomi ma nessuno ha risposto». Presidente del Collegio Carpino ha chiesto più nello specifico di ripercorrere le fasi di quel colloquio del 5 dicembre: «All’inizio si era presentato come l’amico di Lamanna. Mio fratello gli ha chiesto le generalità. Lui non ha risposto e ha chiesto se ci fosse un regalo per lui. Mio fratello ha insistito sulle generalità, ma lui ha detto “allora per me non c’è niente”»

 

A seguire è stata escussa la teste 22enne ex cameriera della pizzeria nel 2015. «Marco Moretti era il mio datore di lavoro. Fui sentita dalla squadra mobile. Il 9 novembre del 2015 lavoravano insieme a me altre due colleghe. Eravamo nello spogliatoio e io sono uscita perché sono venuti questi clienti e hanno chiesto del titolare e io ho detto che non c’era. Erano le 18 – 19 di sera. Sapevo che c’erano le telecamere all’interno del locale ma non ricordo se le ho visionate». Sentiti poi gli investigatori della mobile che si occuparono di alcuni step delle indagini. Il primo raccolse la denuncia della vittima che si presentò in questura. Il secondo che faceva parte della sezione criminalità organizzata visionò i filmati consegnati direttamente dalla persona offesa, al momento della denuncia, estrapolati dalla videosorveglianza. Ho notato due persone. Io ho riconosciuto Marotta. Il mio collega l’altro soggetto». Al processo costituiti parte civile l’associazione antiracket di Cosenza “Lucio Ferrami” con il presidente Alessio Cassano e la vittima rappresentata dal legale Michela Grandinetti

 

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