COSENZA – «Io in quel negozio non ci sono entrato, men che meno l’ho assaltato e svaligiato. Chi mi accusa s’è sbagliato e di grosso. Per il giorno della rapina ho un alibi e lo dimostrerò».
Cesare D’Elia, il 28enne, arrestato giovedì scorso dagli agenti della sezione Antirapina della squadra Mobile di Cosenza, nel corso dell’interrogatorio di garanzia in carcere, davanti al gip e alla presenza del suo avvocato di fiducia Cristian Cristiano, ha negato le accuse a suo carico, dichiarando di non essere lui l’autore della rapina (ci riferiamo al colpo messo a segno all’interno della gioielleria Momenti preziosi di via degli Stadi, il 12 luglio scorso, ndr). Ed è pronto a dimostrarlo. Sulla base di queste dichiarazione e credendo fortemente nell’innocenza del suo assistito, l’avvocato Cristiano ha già disposto una serie di accurate indagini difensive. Innanzitutto precisa l’avvocato ci sono alcune cose di quella teste che inchioderebbe il mio cliente che non convincono. Risulta strano – sostiene il legale – che quella donna dice di aver il suo cliente da alcune foto segnaletiche mostratele da un unico dettaglio: le labbra carnose. Cosa che all’avvocato Cristiano non risulta. Considerato che Cesare D’Elia, ha due segni particolari, facilmente distintivi: un tatuaggio al polso e l’assenza di un canino. Ma ad incastrare il 28enne, oltre alla testimonianza di quella cliente, ci sono anche le immagini delle telecamere a circuito chiuso, installate all’esterno della gioielleria Momenti Preziosi che, visionate a lungo dai detective della Mobile hanno permesso agli inquirenti, coordinati dal commissario capo Antonio Miglietta di stringere le manette ai polsi di D’Elia. Ma se l’avvocato solleva e insinua dubbi sulla presunta colpevolezza del suo assistito, lo fa anche in merito ad altre due indagini che riguardano il suo cliente. Il sostituto procuratore Domenico Assumma, infatti, gli contesta quei sessanta grammi di fumo, trovati nella sua abitazione il giorno dell’arresto. L’accusa in questo caso è di detenzione a fine spaccio di sostanza stupefacente, mentre l’altro pm della Procura bruzia, Maria Rosaria Cerchiara, lo considera uno dei fiancheggiatori del latitante Franco Bruzzese, ritenuto dagli inquirenti uno dei capi storici del clan degli zingari. La moto, una Yamaha Tdm, con cui Bruzzese si sarebbe spostato in città durante la sua latitanza, infatti, risulterebbe essere intestata a D’Elia. «Di queste nuove accuse mosse al mio cliente, dice l’avvocato Cristian Cristiano, io e il mio cliente ne siamo venuti a conoscenza dai media, allo stato non abbiamo ricevuto, per entrambi i procedimenti giudiziari, alcun atto ufficiale».