Il ‘pentito’ Foggetti parla del gruppo Perna: “Non manca niente a nessuno”

Il collaboratore di giustizia Ernesto Foggetti ha testimoniato oggi nel processo che vede come imputati il figlio di Franco Perna e i suoi presunti sodali.

 

COSENZA – Due gruppi rivali in buoni rapporti. Così stamattina nell’aula 9 del Tribunale di Cosenza, in videoconferenza da località protetta, Ernesto Foggetti ha descritto le dinamiche della ‘collaborazione’ tra la famiglia Bruni e i ‘ragazzi’ di Marco Perna. Nel corso del processo ai presunti sodali del clan Perna, incalzato dalle domande del pm Domenico Assumma, il ‘pentito’ ha ricostruito alcuni episodi per illustrare il contesto in cui operavano gli imputati. Alla sbarra oltre al figlio di Franco Perna, Marco, meglio noto come il Capone, risultano in attesa di giudizio: Pasquale Francavilla, Giovanni Giannone, Andrea Minieri, Riccardo Gaglianese, Giacinto Bruno, Alessandro Ragusa, Giuseppe Chiappetta, Alessandro Cairo, Andrea D’Elia, Ippolito Tripodi, Bruno Francesco Calvelli, Denis Pati, Danilo Giannone, Paolo Scarcello, Francesco Scigliano, Domenico Caputo, Francesco Porco, Giuseppe Muto, Alessandro Marco Ragusa e Luca Pellicori.

LE DICHIARAZIONI DI ERNESTO FOGGETTI

 

“Ho iniziato a collaborare con la giustizia dal settembre del 2014. Prima, – spiega Ernesto Foggetti al collegio giudicante presieduto da Enrico Di Dedda con a latere i giudici Urania Granata e Giusy Ianni – facevo parte del clan Bruni in cui vi erano anche miei familiari. Dal 2002 al 2014 ho frequentato gli ambienti della criminalità organizzata cosentina che all’epoca gravitava tra i clan: a Cosenza Lanzino – Ruà, Perna e il nostro quello degli ‘zingari’; i Serpa a Paola (vicini a noi della famiglia Bruni) e i Muto di Cetraro. Il gruppo Perna faceva capo a Marco Perna, ma al suo fianco c’erano sempre Alfonsino Falbo (il quale ha sposato la sorella, ovvero l’altra figlia di Franco Perna) e Andrea Minieri. Giovanni Giannone, Luca Pellicori, i Pati e i Raimondo erano sempre nel suo autolavaggio di Serra Spiga. Bisognava andare lì per comunicare ‘mbasciate di strada’ al Capone.

 

Si trattava di informazioni su droga e ‘movimenti’ vari, non certo appuntamenti per bere un caffè in compagnia. C’era un ufficio nell’autolavaggio dove parlavamo, mentre Alfonsino a volte lo incontravo da Ecologia Oggi. Loro si occupavano soprattutto di droga, anche se penso conservassero anche delle armi (di cui facevano vanto) e non disdegnavano l’usura. Io avevo carta bianca da Michele Bruni per gestire gli affari del clan e dal 2008 al 2010 con i Perna abbiamo collaborato per la compravendita di hashish. Dopo le tragiche morti nella famiglia Bruni, ho appreso che Marco Perna aveva acquisito una sorta di autonomia e doveva versare 80mila euro l’anno nella bacinella per vendere stupefacenti in maniera indipendente senza dare conto agli altri. Questo ‘privilegio’ gli era stato dato in virtù del calibro criminale del padre Franco Perna (condannato all’ergastolo ndr).

 

Nel frattempo qualcuno dei nostri si stava avvicinando a loro, come Giuseppe Muto, con il quale andai all’autolavaggio a consegnare un orologio Cartier che sarebbe servito per ridurre i debiti di cocaina, circa seimila euro, che aveva nei confronti del gruppo Perna. Di Marco Perna posso dire che si è sempre distinto per carisma. Ha dei modi di fare corretti, è uno ‘di parola’, come si suol dire. Non ha fatto mai mancare nulla ai suoi sodali: chi era in carcere veniva assistito, chi era a piedi aveva sempre un’auto a disposizione. Per questo veniva rispettato dai suoi ‘ragazzi’. Era questa la sua ‘nominata’. Le zone in cui poteva vendere anche cocaina erano San Vito, Serra Pedace, Mendicino e Castrolibero. All’epoca era una gara a chi spacciava di più. Loro, che io ricordi, acquistavano la droga da Milano, Roma, Marano di Napoli e gli zingari. Una volta hanno mandato me a Roma, da uno degli ‘zingari’ di Frascati, per chiedere il prezzo del ‘fumo’.

 

Un ragazzo di via Roma è stato sequestrato a Milano perché Marco Perna non gli aveva mandato ancora i soldi e lo hanno tenuto con loro finché non si è chiarito l”equivoco’. La cocaina invece la compravano dai reggini, di Gioiosa se non erro. Personalmente ho venduto loro 15 chili di hashish. Mi hanno dato 30mila euro stipati in delle buste di plastica sottovuoto. A trattare erano Andrea Minieri, i Raimondo e un certo Franco di cui non ricordo il cognome, il quale custodiva un quaderno con i ‘conti’. Tutti i movimenti di soldi erano in quel taccuino. I corrieri è capitato di averli visti che da Napoli tornavano a Cosenza con un furgone di Ecologia Oggi che poi è stato scaricato e l’hashish è stata depositata nel garage di San Vito. Il suocero di Marco Perna, tale Chiappetta, invece, per ripulire il denaro lo ‘girava’ nella sua impresa edile e poi credo spartissero i soldi delle vendite sulle costruzioni”.

 

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