Due uomini del gruppo Pino – Sena ‘colleghi’ e amici, ritrovati cadavere sotto una coltre di neve.
COSENZA – Una morte maturata in tempi di pax mafiosa. Un duplice omicidio sorto, sembrerebbe, per contrasti interni tra le fila del gruppo Pino – Sena e non dalle rivalità con il clan Perna – Pranno che avevano insanguinato fino all’anno precedente le strade di Cosenza. Della cruenta esecuzione sono accusati il collaboratore di giustizia Francesco Pino, detto Franco, Francesco Patituticci entrambi processati con rito ordinario e Gianfranco Bruni e Gianfranco Ruà i quali hanno invece scelto di essere giudicati con rito abbreviato. Ieri mattina presso la Corte d’Assise del Tribunale di Cosenza l’ispettore Gentile della Questura di Cosenza nella sua testimonianza ha sintetizzato il contesto in cui maturò il delitto. Nei primi giorni del febbraio 1986 sia i familiari di Marcello Gigliotti sia i congiunti di Francesco Lenti ne denunciarono la scomparsa. I due, entrambi pregiudicati, erano amici nonché ‘colleghi’ che operavano in simbiosi sotto le direttive di Umile Arturi. Di tanto in tanto, però, ‘lavoravano’ in maniera autonoma senza chiedere alcun tipo di autorizzazione ai loro boss. Un’indipendenza che, a distanza di anni, sembrerebbe profilarsi come il vero movente del loro assassinio.
I loro corpi furono trovati dopo qualche giorno dalla denuncia della loro scomparsa in agro di Falconara Albanese. In contrada Sant’Angelo ricoperti di neve giacevano privi di vita poco distante dalla Fiat Ritmo diesel carbonizzata (con all’interno un fucile a canne mozze) che li aveva portati fino a lì. Lenti, come emerso dall’esame autoptico, fu ferito con un corpo tagliente e la sua testa verosimilmente decapitata con una falce. Gigliotti invece fu prima accoltellato e poi sparato ripetutamente. A pochi metri da loro un asciugamano insanguinato con sopra due iniziali: C. G.. La loro esecuzione, seguita a sadiche torture, sarebbe avvenuta in una casa, dove era stata organizzata una finta cena e all’interno della quale fu trovato un muro bucato e macchiato da un colpo di arma da sparo. A decidere la morte dei due potrebbe essere stato, secondo gli inquirenti, Franco Pino che ieri ha seguito l’udienza collegato in videoconferenza dalla località protetta in cui risiede. Lenti e Gigliotti erano noti alle cronache cosentine degli anni Ottanta per aver piazzato una bomba davanti al portone del commissariato di Polizia di Cosenza, all’epoca ubicato in via Guido Dorso dove all’epoca Nicola Calipari, morto a Baghdad nel 2005, rivestiva il ruolo di dirigente della Squadra Mobile.
Marcello Gigliotti era un ragazzo notoriamente vicino agli ambienti della destra eversiva e militava tra le fila di Terza Posizione. L”intraprendenza’ del giovane l’aveva spinto a tendere un agguato a Carletto Rotundo, recandosi da solo a Cosenza Vecchia e sparando al suo indirizzo numerosi colpi di pistola dopo averlo intercettato nei pressi della Piazza Piccola. Rotundo scampò alla morte rifugiandosi nella sua auto blindata. Ad attribuire la paternità del duplice omicidio ai quattro imputati, furono le dichiarazioni di Antonio De Rose (il primo collaboratore nella storia della ‘ndrangheta cosentina), Pagano, Umile Arturi e dello stesso Franco Pino. Gigliotti e Lenti un anno prima della loro barbara morte uccisero per una questione di amori e gelosia Francesco Salerni cui corpo non fu mai ritrovato. E distanza di qualche mese freddarono tra decine di persone un dipendente del Comune di Cosenza Francesco Palmieri a piazza Kennedy. Per la sua morte Francesco Masala, da innocente, trascorse 14 anni di detenzione prima di essere scagionato da ogni accusa.
In foto l’auto in cui furono ritrovati i cadaveri di Lenti e Gigliotti