Tre persone morte a Cosenza Vecchia, l’ASP si difende: “Non è un caso di malasanità”

Si chiede come vengano spesi 180 milioni di euro destinati alla salute mentale. L’Azienda Sanitaria Provinciale che aveva in cura le tre persone arse vive però non risponde.

 

COSENZA – “I fatti drammatici verificatisi a Cosenza, in cui hanno perso la vita tre persone, – scrive in una nota la dirigenza dell’ASP di Cosenza – hanno suscitato clamore e polemiche, oltre che profonda tristezza. E’ stata chiamata in causa, da parte del segretario generale dell’AUPI (Associazione Unitaria Psicologi Italiani) Mario Sellini, l’organizzazione regionale sanitaria, compresa quella aziendale ASP che ne è l’espressione sul territorio. Si è scritto, pretestuosamente di malasanità. In realtà l’aspetto vero è che si è trattato di un episodio tragico avvenuto in un contesto di emarginazione sociale, dove i rischi di questo tipo sono sempre immanenti. E’ necessario approfondire le cause dell’emarginazione e dei bisogni, non attribuendo responsabilità solo alla malattia, o peggio alla malattia psichiatrica. In questo modo si ghettizzano i soggetti. Ciò appare ancora più strano se viene detto da soggetto che dovrebbe avere la sensibilità professionale di considerare le persone nella loro globalità e non per l’eventuale malattia. E’ indiscutibile che nel caso di specie, ci sia stato un malessere sociale e non necessariamente anche psichico.

 

Certo il malessere sociale può acuire un disagio psichico. In questi casi, pertanto, la valenza dell’intervento deve essere di sostegno sociale prima ancora e oltre che di supporto medico-psichiatrico-psicologico. Nello specifico, inoltre, i fatti hanno coinvolto persone fortemente disagiate e solo marginalmente sfiorate in passato dal disagio psichico. Volere chiamare in causa i Servizi sanitari e l’ASP, significa confondere le acque se non strumentalizzare la cronaca, con il risultato di non arrivare a conoscere le cause dell’accaduto e quindi non poter individuare le giuste soluzioni per il futuro. Inoltre, la condizione di Sanità commissariata, in Calabria, ha determinato nel tempo un forte handicap. Soltanto con i DCA 111, 112, 113 di recente emanazione si può incrementare la dotazione organica dell’ASP. La carenza di organico, – conclude l’ASP – ha rappresentato e rappresenterà se non colmata, una piaga, che rende notevolmente più difficoltosi gli interventi a sostegno dell’utenza, pur se nel caso in esame non ha assunto alcun ruolo nell’estrinsecarsi della vicenda. L’ASP ribadisce che con le risorse disponibili ha sempre garantito le risposte nei tempi e nei modi possibili al bisogno di salute mentale dei cittadini”.

LE ACCUSE DELL’ASSOCIAZIONE DEGLI PSICOLOGI: “ERANO PERSONE ABBANDONATE A SE STESSE”

 

Ecco quanto aveva denunciato Mario Sellini, segretario generale AUPI (Associazione Unitaria Psicologi Italiani), sulla tragedia in cui hanno perso la vita tre persone con disabilità psichica: “Si tratta di un incidente in cui le vittime sono tre ‘poveri disgraziati’ . I giornali hanno scritto che i tre “poveri disgraziati” erano noti ai Servizi sociali e ai Servizi sanitari. Eppure nessuno, ma proprio nessuno, ha dato a questo episodio la giusta definizione, ovvero malasanità. Ma è chiarissimo che queste vittime, perché tali sono, sono state lasciate sole. Sono state abbandonate dalle strutture sanitarie predisposte alla tutela della salute, anche mentale, dei cittadini. In questo scenario, cosa vuol dire “erano note” ai Servizi sociali? Se poi questi ultimi non sono messi nelle condizioni di prendersene cura? Stiamo parlando della Sanità della Regione Calabria.

 

Ben ultima in tutte le graduatorie relative alla qualità dell’assistenza. E, quando le graduatorie riguardano l’assistenza alla salute mentale e l’assistenza psicologica, il posto occupato è, se possibile, ancora più infimo. E questo nonostante ci siano operatori che si dedicano con spirito di abnegazione assolutamente encomiabile. In realtà siamo in presenza di un tipico caso di malasanità la cui responsabilità ricade, completamente, sull’organizzazione e sulla gestione. Nessuna responsabilità è addebitabile agli operatori. È il livello “gestionale” e l’assoluta carenza di programmazione sanitaria, regionale aziendale, la causa prima ed unica di questi drammi. L’unica “programmazione” che si riesce a fare in Calabria è quella relativa alla spartizione dei posti, all’assegnazione dei primariati e dei dipartimenti. Tutto il resto non interessa. Ciò che conta è assegnare le apicalità. Se poi i servizi di salute mentale restano scoperti perché il personale va in pensione, non interessa nessuno.

 

Dove sono le strutture territoriali che devono articolare la rete di tutela della salute psicologica? Come viene utilizzato il finanziamento destinato a questi servizi? C’è qualcuno che chiede conto alla Regione Calabria se e come vengono spesi i 180 milioni di euro destinati alla salute mentale? Quante case famiglia, quanti gruppi appartamento, quante comunità, protette o meno, residenziali e semiresidenziali sono attivate? E questo non accade solo a Cosenza, dove sono morti questi “poveri disgraziati”. Succede in tutte le Aziende sanitarie della regione. La prova evidente che, in Calabria, la salute mentale e quella psicologica non sono una priorità, la ritroviamo nell’ultimo decreto che, a livello regionale, autorizza alcune centinaia di assunzioni. Non è prevista una sola assunzione di psicologi, nonostante molti stiano andando in pensione ed i servizi risultino sempre più sguarniti. Nelle nuove assunzioni non c’è posto per gli psicologi né per le altre figure necessarie a garantire la necessaria assistenza alla salute mentale.

 

Eppure c’è il “Progetto obiettivo nazionale”; sono stati recentemente approvati i nuovi Livelli essenziali di assistenza. Ma nulla riesce a smuovere la politica sanitaria calabrese. Il ministero della Salute bene ha fatto ad attivare una Commissione per la verifica dell’applicazione dei Lea sul territorio nazionale. Ed è a questa Commissione che noi ci appelliamo, per verificare lo stato di applicazione e di attuazione dei livelli minimi di assistenza nel campo della salute mentale. Lo si deve ai 2 milioni di cittadini calabresi che hanno diritto, come tutti gli altri cittadini italiani, ad avere cure dignitose, senza bisogno di dover continuamente emigrare in altre regioni alla ricerca di “cure” e “ tutela della salute”. Lo si deve alle tre vittime di Cosenza che non sono state uccise dal fuoco, né sono morte a causa di un incidente provocato dalla loro incuria o disattenzione. Queste tre vittime della Malasanità calabrese meritano rispetto, quel rispetto che da vivi non hanno avuto”.

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