COSENZA – Pagati 4,30 centesimi di euro l’ora, una volta ogni tre mesi.
Nessuna negligenza, solo difficili condizioni lavorative. E’ questo lo scenario illustrato da un ex istruttore della piscina di Campagnano dove, i primi di Luglio, ha perso la vita il piccolo Giancarlo Esposito di soli quattro anni. L’acqua ritrovata nei suoi polmoni a seguito dell’autopsia, fa ipotizare una morte avvenuta per annegamento, anche se in merito, le autorità giudiziarie non si sono ancora pronunciate. Un professionista che per anni ha lavorato presso gli impianti sportivi comunali, gestiti dalla Cogeis di proprietà di Carmine Manna (attuale assessore allo Sport del Comune di Cosenza) insieme alla Cosenza Nuoto cui titolare risulta essere il padre, Giancarlo Manna, spiega come il piccolo prima del decesso si trovasse in una vasca in cui i bimbi non dovrebbero accedere. “Giancarlo Esposito era nella piscina riabilitativa quando ha perso conoscenza, – afferma l’ex istruttore che non intende rivelare la propria identità per paura di ripercussioni a livello lavorativo – in teoria però lì i bambini non potrebbero starci. Eppure succede che quando le vasche della kinder garden sono piene parte dei bimbi viene trasferita in quella piscina come pare sia successo quella mattina. Si tratta di una vasca che va da un metro ai due metri e dieci di profndità. Al suo interno c’è un percorso vascolare con un muretto che se non si ha la giusta visuale impedisce di vedere cosa stanno facendo i bambini in acqua. L’acqua è a 34° quindi è difficile che il malore del piccolo Giancarlo sia stato causato da una congestione”.
Poi l’istruttore passa ai numeri per dare contezza delle condizioni in cui si lavora a Campagnano. “Quel giorno – spiega – c’erano 95 bimbi iscritti. Gli indagati, oltre a Manna, sono cinque. Di questi uno lavora in amministrazione perchè è il responsabile del personale mentre un altro stava lavorando nella piscina olimpionica. Quindi si presume, che fossero 3-4 istruttori a gestire 95 bambini che – precisa – non sono lì per imparare a nuotare, ma per divertirsi. Quindi il lavoro è ancora più difficile. Suppongo che chi stesse lavorando in quel momento nella riabilitativa con i bambini avesse un bel da fare. Il tutto, bisogna sapere, con un contratto Co. Co. Co., per un salario che non supera le 500 euro e viene corrisposto con ritardi che variano dai tre ai quattro mesi. Ora nel corso frequentato da Giancarlo da oltre novanta bimbi ne sono rimasti solo 30 perchè i genitori hanno paura di mandare i loro figli in quella piscina e hanno ritirato le iscrizioni e chiesto il rimborso. Questo però non è colpa degli istruttori costretti a lavorare in maniera inadeguata con mille distrazioni.
L’infermeria è un luogo fantomatico. In realtà al suo interno non c’è nulla, – dice con amarezza l’ex istruttore – solo un lettino e un frigo con due bottiglie di ghiaccio. Lo hanno verificato anche i carabinieri nel corso della perquisizione. Non c’è neanche la cassetta del pronto soccorso che viene conservata vicino alle vasche e contiene solo alcool e un po’ d’ovatta. Non c’è la presenza di un bagnino, di un addetto al salvataggio, nè di un medico, essendo affiliata alla FIN (Federazione Italiana Nuoto) queste figure non sono previste all’interno della struttura. Siamo noi che dobbiamo provvedere a tutto e le nostre competenze in materia di primo soccorso si limitano, se va bene, a due-tre ore di corso di formazione. Noi siamo professionisti, lavorare così però non è professionale”.