Francesco Salvo, il paziente che nel 2013 subì una trasfusione con il presunto ‘sangue infetto’; ha deciso di ritirare la querela e accettare il risarcimento.
COSENZA – Nuovi risvolti per il processo ‘Sangue infetto’ che vede imputati i vertici dell’Ospedale di Cosenza e di San Giovanni in Fiore. Le indagini, scaturite dalla morte di un pensionato rendese di 68 anni, Cesare Ruffolo; hanno fatto luce su una serie di trasfusioni che sarebbero state effettuate con sangue infetto proveniente dal centro raccolta di San Giovanni in Fiore. Uno dei giovani, coinvolti in tali trasfusioni, fu Francesco Salvo. Il ragazzo, nel giugno 2013, a seguito di una trasfusione di sangue contaminato, subì uno shock settico. Da qui la decisione di costituirsi parte civile nel processo. Oggi Salvo ha deciso di ritirare la querela.
“La sua decisione – come ci spiega il suo legale difensore, Massimiliano Coppa – è dovuta al fatto che l’Azienda ospedaliera ha proposto un risarcimento, riconoscendo le sue responsabilità.” Il risarcimento (come ci spiega l’avvocato Coppa) è già stato quantificato, ma non può essere ancora reso noto, in quanto bisogna attendere che venga formalmente accettato dalle parti – nella prossima udienza – quando converranno tutti gli imputati (oggi assenti in aula). In ogni caso questa mattina, nel Tribunale di Cosenza, Francesco Salvo ha confermato la sua revoca di costituzione di parte civile.
La sua storia, ormai è nota ai molti: Francesco Salvo – a differenza del pensionato 68enne – riuscì a scampare alla morte: per fortuna, per miracolo, per prontezza di sopravvivenza; non si sa, ma quel ricordo lo conserverà per sempre nella sua mente e nel suo cuore. Da allora, infatti, insieme alla famiglia Ruffolo, iniziò la sua battaglia, per avere giustizia e per far sì che a nessun altro potesse accadere ciò che accadde a lui e alle altre vittime di ‘sangue infetto’.
La vicenda di Salvo
Nel giugno del 2013 Francesco Salvo ricorse all’ospedale di Cosenza per un ciclo di cure presso il centro trasfusionale. Mentre stava effettuando una emotrasfusione, venne colto da una violenta infezione da Serratia Marcescens (un Genere batterico appartenente alle Enterobacteriaceae, famiglia all’interno della quale si trovano specie batteriche Gram-negative, asporigene, aerobie/anaerobie facoltative. Sono batteri presenti comunemente nel suolo, nelle acque superficiali e di scarico, sulle piante, negli insetti, negli animali e nell’uomo). Tali batteri erano contenuti nel sangue inoculato al paziente come terapia salva vita. Uno strano scherzo del destino: ciò che doveva salvarlo, stava per ucciderlo.
Colto da brividi e febbre altissima, Salvo capì subito che c’era qualcosa che non andava; per istinto di sopravvivenza chiuse l’ago che aveva in vena, collegato alla sacca. Per oltre 40 giorni lottò tra la vita e la morte, in stato di coma e si salvò grazie a forti cure antibiotiche. Secondo l’accusa Ruffolo effettuò la stessa trasfusione che lo portò al decesso. Il suo destino fu più crudele.
Con il rito ordinario, sul banco degli imputati, ci sono l’ex direttore dell’Unità di immunoematologia dell’Annunziata, Marcello Bossio; il dirigente medico in servizio all’ospedale di San Giovanni in Fiore, Luigi Rizzuto e Osvaldo Perfetti direttore medico del presidio unico dell’Annunziata. Già giudicati, invece, quelli che avevano optato per l’abbreviato. Oggi Salvo ritira la querela e attende il risarcimento (che dovrebbe arrivare nei prossimi giorni), ponendo la parola fine al suo calvario. Il processo riprenderà il prossimo 2 maggio, in quel giorno saranno ascoltati i consulenti.
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