Bimbo morto a Campagnano, in piscina non c’era nessun addetto al salvataggio

Nessuna delle persone presenti al momento del decesso possedeva il brevetto di assistente bagnanti. Il medico legale che ha eseguito l’autopsia: “Ha ingoiato acqua ed è annegato”.

 

COSENZA – Continua il processo per la morte del piccolo Giancarlo Esposito. Si tenta di far chiarezza sul decesso del bimbo di quattro anni morto a Cosenza nell’estate del 2014, nella piscina comunale di Campagnano. Alla sbarra con l’accusa di omicidio colposo cinque persone: le istruttrici Francesca Manna di 65 anni, la figlia Luana Coscarello quarantunenne, Martina Gallo classe 1993, Ilaria Bove ventiquattrenne ed il rappresentante legale della Cogeis a cui il Comune di Cosenza ha appaltato la gestione della struttura, l’ex assessore allo Sport Carmine Manna. Nell’udienza odierna il giudice Bilotta ha ascoltato il fiduciario della sezione salvamento della Federazione Italiana Nuoto Cristiano Quiriconi. Incalzato dalle domande del pm Cerchiara il consulente ha spiegato con chiarezza e dovizia di dettagli che “se il bambino avesse avuto il giubbotto di salvataggio avrebbe sicuramente avuto più autonomia”. “Con i braccioli – ha affermato il CTU Quiriconi – è sempre necessaria la supervisione di un adulto. E’ scritto anche nelle istruzioni. Per avere la panoramica completa dei bimbi in acqua è necessario che l’addetto ai controlli stia fuori dall’acqua, a bordo piscina in piedi, in modo da poter intervenire in maniera tempestiva. Dai controlli che ho fatto quel giorno non c’era nessun assistente bagnanti di turno. Eppure è una figura necessaria, per legge, a garantire la sicurezza di un impianto pubblico. L’assistente bagnanti infatti si occupa della sorveglianza, del salvataggio, del  primo soccorso e della rianimazione degli utenti in casi di emergenza. Luana Coscarello, Martina Gallo e Ilaria Bova non hanno mai conseguito questo brevetto (peraltro quest’ultima non possiede nessun titolo o brevetto rilasciato dalla Federazione Italiana Nuoto). Solo Francesco Fasanella aveva il brevetto di assistente bagnanti, ma era scaduto. Il rinnovo però è obbligatorio perché vincolato alle condizioni di salute del soggetto chiamato a svolgere una funzione delicatissima.

 

Nel caso di Giancarlo Esposito, bisogna sottolineare – ha aggiunto il consulente – che se la vasca avesse avuto una profondità inferiore il bimbo sarebbe riuscito ad uscire dall’acqua in maniera autonoma. Le piscine didattiche per i bambini misurano circa 60 centimetri d’altezza, ma a Campagnano non ci sono. Quella in cui era il bimbo nel punto meno profondo misura 90 centimetri (nel punto più profondo l’altezza è di oltre due metri). Ciò significa che al bimbo serviva l’aiuto di un adulto che lo sollevasse da bordo piscina per uscire oppure avrebbe dovuto spostarsi nuotando fino all’altro lato della vasca per raggiungere la scaletta. Assodato che non c’era un assistente bagnanti, ma solo istruttori che non hanno competenze specifiche in materia di salvataggio, nessuno ha notato il malessere del bambino. Appena si notano movimenti anomali bisogna subito intervenire su chi è in acqua. A maggior ragione se non respira o è in stato di incoscienza o ha cambiato colore come è successo al piccolo Giancarlo. Il capo reclinato all’indietro, posizione assunta dal bimbo, è un indice di annegamento e testimonia che si è intervenuti in ritardo per trarlo in salvo. Il piccolo andava subito tolto dall’acqua e da quella situazione di pericolo. Dopo aver inalato l’acqua si hanno tre minuti di tempo prima che i danni diventino irreversibili. E tre minuti sono tanti per non capire che c’è un bimbo in difficoltà. Lui è stato trovato con la schiuma alla bocca e nel nasino, significa che l’annegamento era già avvenuto da un po‘”.

 

Una circostanza confermata, senza alcuna ombra di dubbio dal medico legale che ha eseguito l’autopsia sul corpicino di Giancarlo. Il professor Francesco Vinci, dell’Università di Bari, noto per il ruolo di consulente legale nella difesa di Raffele Sollecito indagato per l’omicidio della studentessa Erasmus inglese Meredith Kercher ha dichiarato oggi in aula che “la morte è avvenuta per annegamento”. “Il quadro autoptico – ha affermato Vinci – è chiarissimo. Si tratta di un decesso per enfisema asfittico. Nei polmoni era presente del liquido, gli esami che abbiamo fatto hanno certificato l’inalazione di acqua dolce. Quindi si può dire che il bambino ha sicuramente inalato dell’acqua, l’enfisema a quattro anni di età non può essere collegato al fumo (come succede per gli anziani). In più abbiamo riscontrato dei piccoli fenomeni emorragici su tutti gli organi riconducibili a sindrome asfittica e non ad altre patologie. Il bimbo era sano, non era cardiopatico come si era detto inizialmente. E bisogna escludere anche l’ipotesi della congestione perchè lo stomaco era quasi vuoto. Inoltre è stato ritrovato nella posizione tipica dei casi di annegamento. Sappiamo che la rapidità d’intervento è fondamentale. La Società Nazionale Salvamento dice che dall’inizio dell’inalamento dell’acqua se si interviene entro quattro minuti si può salvare una persona. A maggior ragione un bambino che ha una capacità di incamerare ossigeno maggiore rispetto agli adulti. Non si può mettere assolutamente in dubbio che il bambino ha ingoiato dell’acqua è ed annegato questa è la ragione del decesso per enfisema asfittico. Si tratta di una morte per l’acqua, non in acqua”. Il processo è stato aggiornato al prossimo 27 Febbraio quando a deporre in aula sarà la mamma di Giancarlo Esposito che racconterà la propria versione dei fatti.

 

 

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