Femminicidio. Intervista a Roberta Bruzzone: “è anche un problema di gap culturale”

COSENZA – Una presenza significativa quella della nota criminologa Roberta Bruzzone, intervenuta a Spezzano Albanese per parlare ai giovani di temi quanto mai attuali che vanno dallo stalking alla violenza sulle donne.

La Bruzzone, psicologa forense, criminologa, criminalista, analista della scena del crimine, esperta in Scienze Forensi nonchè Docente di Psicologia Investigativa, Criminologia e Scienze Forensi presso l’Università LUM Jean Monnet di Bari, dall’anno accademico 2013/2014 è docente e direttore scientifico del master in Criminologia Investigativa, Scienze Forensi e Analisi della Scena del Crimine presso l’Università degli Studi Niccolò Cusano.In molti la conoscono per le sue diverse presenze televisive nei talk show legati ai fatti di cronaca. Una donna tutta d’un pezzo, che si è occupata con grande professionalità di diversi casi di femminicidio e non solo: dalla morte di Melania Rea a quella di Sarah Scazzi, ma anche della strage di Erba e dei fidanzatini di Policoro. Roberta Bruzzone, è intervenuta a Spezzano Albanese, davanti agli studenti del liceo scientifico, per parlare di “Giovani, Stalking e Femminicidio”.

 

Non essendosi occupata di casi accaduti in Calabria ha avuto modo di approfondire però il caso di Fabiana Luzzi, la giovane di Corigliano Calabro accoltellata e bruciata dal fidanzatino mentre era ancora viva. Una ragazza di soli 16 anni uccisa da un ragazzino. In merito la dottoressa Bruzzone ha rivolto un invito ai giovani a stringersi attorno alla vittime, se ci si rende conto dei primi campanelli d’allarme, proteggendole: “non si può tollerare alcun tipo di comportamento volto a controllare la vita altrui e non si può assolutamente considerare accettabile da parte di chi lo riceve. L’obiettivo è di convincere i ragazzi ad essere solidali con chi vive questo tipo di situazioni. Molto spesso sono ragazzi come loro a comportarsi in questo modo e sono ragazze come loro a subire comportamenti di questo genere; quindi è molto importante che il gruppo di riferimento, il gruppo cosiddetto dei “pari”, sia consapevole che questo tipo di situazioni non sono accettabili quindi in qualche modo si schieri da parte delle vittime e cerchi di intervenire a protezione”. “Fabiana Luzzi – ha spiegato la criminologa – è il tragico esempio di una serie di meccanismi falliti sotto questo profilo. E’ vero che il suo assassino era un ragazzino all’epoca dei fatti, ma è altrettanto vero che ha agito con una lucidità ed una crudeltà spaventosa; addirittura arrivando a bruciarla ancora viva per evitare di pagare le conseguenze del suo tragico gesto”. Questo testimonia che c’è davvero bisogno di ripensare completamente e culturalmente il modo di approcciare a questo tipo di problematiche”.

 

Secondo lei, il “ritardo” culturale favorisce fenomeni del genere?

“Questo, al di là di essere un problema strutturale è principalmente alimentato da stereotipi di tipo culturale che rimandano ancora alla matrice patriarcale nella più becera delle accezioni. Ancora troppo spesso e ancora in maniera abbastanza capillare osserviamo una rappresentazione della donna assolutamente inadeguata rispetto a quella che la realtà dovrebbe essere… sotto il profilo mediatico, pubblicitario, e chiaramente ciò consente il procrastinarsi di stereotipi che sono non solo sbagliati, ma pericolosissimi che ancora inneggiano al controllo dell’uomo nei confronti della donna, come se fosse una sorta di diritto acquisito. Se non bypassiamo questo, se non riusciamo a superare questa gap culturale, qualunque altra iniziativa sarà purtroppo vana. Consideri che non è un’emergenza di questi anni; Sono 20-25 anni che nel nostro Paese le donne continuano a morire come mosche; circa 130 donne assassinate per non contare le donne che vengono interessate da aggressioni, tentati omicidi, o che si suicidano per riuscire a sfuggire a questo tipo di scenari. Quindi i numeri sono da considerare estremamente più alti di quelli che ci risultano”.

 

E’ capitato in molti casi di omicidio, che le vittime avessero precedentemente denunciato i propri stalker i quali, lasciati liberi, si sono poi trasformati in assassini. Cosa manca al sistema di tutela delle persone vittime di stalking?

“Il problema della tutela è indubbiamente molto serio; gli strumenti normativi che abbiamo in realtà consentono di fare tutta una serie di operazione e di fatto, di proteggere le vittime. Il problema è che molto spesso è molto difficile trovare un’applicazione di questi strumenti, è difficile più che per le forze di polizia che sono sul territorio e spesso sono vicine alle vittime, il grosso problema è che poi queste misure comunque le decidono e le convalidano i magistrati. Ragion per cui spesso, gli operatori finali, quelli che sono in prima linea si trovano essi stessi nell’impossibilità di aiutare concretamente queste donne perché magari una serie di provvedimenti che si potrebbero prendere, e che sarebbe oltremodo corretto prendere, di fatto non vengono mai resi operativi. Questo è il vero problema: c’è un’inerzia giudiziaria sotto questo profilo ancora assolutamente preoccupante”

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