Hot dog avvelenati? Una truffa

Hot dog alla truffa. Il caso di una famiglia di Cosenza, finita in ospedale per un’intossicazione alimentare, s’è rilevata essere un colossale bluff. A scoprirlo, infatti, sono stati i carabinieri della polizia giudiziaria del Tribunale cittadino e i militari dell’Arma dei Nas, investiti dalla Procura della Repubblica ad effettuare le indagini del caso.

I “finti” avvelenati, convinti di aver messo a segno un piano perfetto, sono finiti nel registro degli indagati, con le accuse di truffa e procurato allarme. Tutto ha inizio domenica sera. I componenti della famiglia (padre, madre e figli, ndr) si recano in una nota rosticceria del centro cittadino e, dopo aver ordinato da mangiare, decidono di mettere in atto il loro piano truffaldino. Approfittando della confusione al’interno del locale e della distrazione degli addetti alla vendita, si accomodano ad un tavolo e, lontano da occhi e orecchie indiscrete, inseriscono nei loro hot dog vermi. Mentre consumano la cena, per facilitare ed accelerare il processo di digestione e l’insorgenza del conseguenziale malessere, bevono alcune bevande. Da lì a breve il gioco è fatto. I primi sintomi colpiscono i bambini che, avvertono dolori allo stomaco e mostrano segni di nausea. Appena qualche minuto più tardi, anche i genitori, decidono di entrare in azione, recitando il copione scritto su misura. I lamenti della famiglia attirano l’attenzione dei presenti che, disinteressandosi dei cibi, s’affrettano a sollecitare i soccorsi. Alcuni avventori, davanti a quella scena, decidono di lasciare la rosticceria, abbandonando le ordinazioni sui tavoli. Con l’arrivo del personale medico e paramedico del 118, i falsi “avvelenati” decidono di mettere in azione la parte finale del loro piano truffaldino. L’intensità dei dolori allo stomaco aumenta, così come il pallore in viso e la nausea. Addirittura, mentre sono nell’area medica del Pronto Soccorso, uno dei bimbi inizia a rimettere. Per i medici non ci sono dubbi: l’avvelenamento è certo. Scattano le indagini mediche e il caso, come da prassi viene segnalato alle forze dell’ordine. La prima denuncia viene raccolta dagli agenti del posto fisso di polizia, sito all’interno dell’Annunziata. Il protagonista della farsa è il capofamiglia. E’ lui, infatti, che con un filo di voce e tanta preoccupazione per lo stato di salute dei suoi congiunti, racconta agli agenti i fatti in questione. L’informativa viene, immediatamente, trasmessa alla Procura della Repubblica. E’ lo stesso procuratore capo Dario Granieri che prende tutto l’incartamento della vicenda e delega i Nas all’attività d’indagine di loro competenza. Il giorno seguente, infatti, gli specialisti del Nucleo antisofisticazioni e i loro colleghi della polizia giudiziaria dei carabinieri, dislocati negli uffici al quinto piano del palazzo di giustizia cittadino, si recano presso la rosticceria per gli accertamenti. Gli hot dog, esposti in vetrina, al pari di altri prodotti alimentari di facile consumo, vengono sequestrati e al titolare dell’esercizio commerciale viene intimata, temporaneamente, la chiusura. Per l’imprenditore è un colpo. Affari e credibilità rischiano il precipizio. Così come anche la qualità dei prodotti in vendita rischia di collassare. Mentre la famigliola gongola, sprando in un sostanzioso rimborso dell’assicurazione, gli investigatori insistono con l’attività d’indagine. Sono proprio gli uomini del Nas di Cosenza a scoprire l’inganno. Quei vermi non potevano essere stati nel panino, soprattutto perché, sovraesposti alle elevate temperature dei forni a microonde, si sarebbero autodistrutti. Dunque la presenza di quegli “ospiti” indesiderati all’interno degli hot dog era stata inserita dagli stessi “pensatori” della truffa. La speranza di monetizzare sull’accaduto è naufraga e la famigliola è finita nuovamente in ospedale. Non per un sospetto avvelenamento ma per la certezza di essere finita nei guai.  

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