La ‘ndrangheta infiltrata nel centro agroalimentare di Torino, 5 misure cautelari

‘Ndrangheta e colletti bianchi. Le accuse sono di estorsione aggravata dal metodo mafioso e truffa ai danni dello stato

TORINO – La Guardia di Finanza ha eseguito 5 misure cautelari per estorsione e intestazione fittizia di beni aggravate dal metodo mafioso, truffa ai danni dello stato e bancarotta fraudolenta. Le indagini hanno consentito di ricostruire una vicenda di acquisizione “predatoria” di un’attività all’interno del centro agroalimentare di Torino: i soggetti coinvolti avrebbero operato all’interno del mercato con la predetta società anche instaurando legami e scambi con altri esponenti della ‘ndrangheta.

Tre persone sono finite in carcere e due invece, raggiunte dal provvedimento di obbligo di dimora. Le indagini compiute anche attraverso intercettazioni telefoniche e ambientali ed estese attività di osservazione e pedinamento, sono state avviate nel quadro delle risultanze di precedenti attività investigative (in particolare le operazioni “Carminius” e “Fenice”), che, nel corso del 2019, portarono a decapitare una cellula di ‘ndrangheta vibonese attiva in provincia di Torino.

Da qui è emerso come diversi soggetti vicini agli ambienti della ‘ndrangheta piemontese e ai limiti dell’intraneità nella stessa nonché di un esponente di rilievo del citato sodalizio criminale, già condannato per mafia e oggi deceduto.

Il ruolo dei ‘colletti bianchi’

Gli indagati avvalendosi anche della fattiva collaborazione di “colletti bianchi”, avrebbero posto in essere le  condotte delittuose e i finanzieri hanno ricostruito diverse ipotesi di intestazioni fittizie di aziende, effettuate con l’aggravante di agevolare l’associazione mafiosa ‘ndranghetista operante in Piemonte. Tali operazioni sarebbero state effettuate con la complicità di più soggetti e con l’ausilio di liberi professionisti, ricorrendo a prestanome per celare il vero dominus delle imprese, il quale avrebbe agito al fine di agevolare l’associazione ‘ndranghetista cui era organico ed eludere le disposizioni in materia di misure di prevenzione patrimoniali, essendo egli stato destinatario di una condanna definitiva per associazione di tipo mafioso.

Truffe nel periodo della pandemia

Alcune delle società sarebbero state anche utilizzate per la commissione di truffe aggravate per il conseguimento di erogazioni pubbliche nel periodo pandemico. I personaggi coinvolti, infatti, mediante artifizi e raggiri, sarebbero riusciti a ottenere in maniera fraudolenta finanziamenti a fondo perduto e garanzie statali per la percezione di finanziamenti bancari, ai sensi della vigente normativa emergenziale. Tali operazioni illecite avrebbero avuto, a fattor comune, l’obiettivo di far ottenere i “sostegni” finanziari pubblici al soggetto ritenuto elemento di spicco della ‘ndrangheta piemontese sottoposto alle indagini, cui egli non avrebbe potuto avere accesso in ragione della condanna riportata.

Alcune delle truffe sarebbero state commesse con il fattivo contributo di un “colletto bianco” (destinatario della misura dell’obbligo di dimora), dipendente di un locale ente territoriale, risultato avere – per quanto emerso nel corso delle investigazioni – assidui contatti con personaggi vicini al mondo ‘ndranghetista e in grado di riconoscerne l’appartenenza o la contiguità allo stesso.

L’estorsione al mercato ortofrutticolo di Grugliasco

Emblematico, ai fini della descrizione del modus operandi dei soggetti coinvolti nelle indagini in argomento, è apparso il vero e proprio atto “predatorio” commesso (in ipotesi d’accusa) all’interno del mercato ortofrutticolo di Grugliasco (To), consistente nell’estorsione aggravata dal metodo mafioso, posta in essere nei confronti del titolare di uno stand, attraverso la quale gli indagati sono riusciti ad acquisire, senza alcun corrispettivo, un’ulteriore attività economica nel Centro Agroalimentare torinese. In tal modo essi hanno potuto eliminare un concorrente e rafforzare la propria posizione commerciale nel mercato, grazie all’aumento degli spazi controllati.

Dopo i fatti estorsivi commessi nei confronti del titolare dello stand e prima di procedere all’acquisizione formale della sua azienda, gli indagati avrebbero posto in essere un’operazione di fittizia intestazione a prestanome delle quote della società acquirente. I sodali avrebbero poi operato all’interno del mercato con la predetta società anche instaurando legami e scambi con altri esponenti qualificati della ‘ndrangheta, procedendo (come sovente avviene nelle dinamiche operative delle organizzazioni criminali) a distrarne e dissiparne progressivamente il patrimonio, peraltro senza onorare i debiti commerciali e con sistematica evasione fiscale e contributiva. Il tutto al premeditato scopo di massimizzare il profitto a discapito di concorrenza, creditori, Erario ed enti previdenziali.

Atteso che simili condotte avrebbero prevedibilmente portato – come successivamente effettivamente disposto dal Tribunale di Torino – al fallimento della società, le relative quote sono state artatamente trasferite a un altro soggetto terzo (cittadino extracomunitario e privo di mezzi finanziari), il quale, a fronte di un esiguo compenso, si sarebbe addossato tutte le connesse responsabilità civili e penali.

 

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