COSENZA – Le tre varianti del virus SarsCoV2 più diffuse in Europa aumentano il rischio di ricovero, nei reparti Covid e nelle unità di terapia intensiva, anche fra i più giovani, ossia nelle classi di età comprese fra 20 e 39 anni e fra 40 e 59 anni, come fra i giovanissimi da zero e 19 anni: lo indicano i dati relativi alla variante inglese (B.1.1.7), alla sudafricana (B.1.351) e alla brasiliana (P.1), analizzati in sette Paesi europei, compresa l’Italia, nella ricerca pubblicata su Eurosurveillance, la rivista scientifica online del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc).
E’ un dato, si rileva nell’articolo, che indica “la necessità di raggiungere rapidamente livelli elevati di copertura vaccinale e di aderire alle misure di sanità pubblica tese a ridurre l’incidenza del virus SarsCoV2″. Fra gli strumenti utili in questa fase dell’epidemia, nella quale giocano un ruolo anche le varianti, gli autori della ricerca indicano i test diagnostici e la tracciabilità come misure cruciali per ridurre la diffusione del virus.
La variante comparsa in India
La variante che si sta studiando si chiama B.1.617 ed è comparsa in India nell’ottobre 2020 con la variante B.1.618, che sembrerebbe meno aggressiva. A complicare la situazione c’è il fatto che la B.1.617 ha già una ‘famiglia’, i cui membri sono le tre versioni chiamate B.1.617.1, B.1.617.2 e B.1.617.3. Di queste “soltanto la 1 e la 3 hanno la doppia mutazione”, spiega Gianguglielmo Zehender ordinario di Igiene dell’Università Statale di Milano. La variante B.1.617 è stata segnalata finora in una ventina di Paesi; due i casi accertati in Italia. “Stiamo studiando la struttura 3D delle due mutazioni per vedere se sono connesse e se l’una aiuta l’altra“, ha detto Massimo Ciccozzi, direttore del laboratorio di Statistica medica ed Epidemiologia molecolare dell’Università Campus Bio-medico di Roma. Di questa variante, ha detto ancora, “sappiamo molto poco, la stiamo studiando per verificare l’ipotesi che le due mutazioni possano agire in coppia”.
E’ perciò su queste due ‘varianti della variante’ che si sta concentrando l’attenzione degli esperti. Le mutazioni che stanno studiando sono la E 484 Q, presente nelle varianti brasiliana (P.1) e sudafricana (B.1.351.V2), e la L 452 R, descritta nella variante californiana (B.1.429). Della prima si sa che “è in grado di sfuggire agli anticorpi, sia a quelli prodotti dal vaccino, sia a quelli generati da chi è guarito” e si sospetta che l’associazione con la L 452 R potrebbe potenziarne l’effetto”, osserva il virologo Francesco Broccolo, dell’Università di Milano Bicocca.
Anche Zehender osserva che “la variante B.1.617 è ancora sottoposta a indagini e si può ancora dire molto poco in relazione alla sua trasmissibilità e agli effetti che su di essa hanno i vaccini. Sappiamo che circa il 70% delle sequenze genetiche del virus sarsCoV2 caratterizzate finora in India si riferiscono a questa variante, ma è anche vero che questo dato non significa molto, visto che le sequenze ottenute in India sono poche: appena un migliaio su 4 milioni di casi”.
Di sicuro non è la prima variante a fare la sua comparsa e non sarà l’ultima e le strade per difendersi, secondo gli esperti, sono almeno tre: la prima è continuare a seguire le misure di prevenzione, dalla mascherina al distanziamento; la seconda è accelerare le campagne di vaccinazione e la terza è fare le sequenze genetiche del virus.