Agognare il potere e cercare di ottenerlo a tutti i costi rappresenta, a mio avviso, una sorta di patologia maniacale che sottende, paradossalmente, una scarsa considerazione di sé.
La persona avverte la necessità di dimostrare il proprio “valore”, con se stessa e con gli altri, che rappresentano il termine di paragone e il mezzo per ottenere conferma del raggiungimento del risultato che si era prefisso. La spinta all’azione è tanto più forte quanto più dal basso si parte (dal punto di vista sociale ed economico). Il desiderio di avere una vita sfarzosa è una delle motivazioni dalle quali nasce questa spinta, ma non è la principale. Infatti, i boss della mafia, che pure non si sottraggono alla logica dell’accentramento del potere nella loro persona, anzi ne rappresentano il paradigma, molto spesso vivono in condizioni misere. Questa attrazione esercitata dal “potere” porta ad intraprendere tutte le strade che possono contribuire al suo raggiungimento, senza fermarsi di fronte a nulla. La strada del malaffare, rappresentando una scorciatoia, diventa inevitabilmente quella più battuta.
Le inchieste giudiziarie e i servizi dei media, che riguardano questo genere di persone, producono due effetti paradossali:
1- La loro presenza costante “in onda” fa sì che essi assurgano a simbolo del potere. Essi entrano in una specie di dimensione surreale che trasforma, attraverso un’aneddotica da “gossip”, le loro azioni in leggenda.
2- La messa alla berlina di questi personaggi, all’inizio produce nell’opinione pubblica rabbia e indignazione, ma alla lunga, dopo aver sperimentato che, nonostante tali denunce, essi restano impuniti, subentra una forma di sconfortante rassegnazione.
Nonostante ciò, noi continuiamo a seguire le notizie che li riguardano con morbosa curiosità.
La pubblicazione e la messa in piazza di tutte le loro nefandezze rappresentano per noi una specie di valvola di sfogo, per le nostre inevitabili frustrazioni. Un loro eventuale sbeffeggiamento dovrebbe costituire per loro una forma di punizione e per noi una seppur debole rivincita ma, purtroppo anche questo finisce con rafforzare la loro immagine e con essa il loro potere. Infatti, essere additati come gli autori di malaffare, anche utilizzando epiteti ad effetto, che risulterebbero offensivi per qualsiasi persona, ma non per loro, non fa altro che riconoscergli ulteriore forza. Ovviamente, purché tutto ciò non si trasformi in condanne giudiziarie.
Il fatto che non vengano condannati o che le condanne spesso siano contrastanti nei vari gradi di giudizio, da un lato, provoca il disorientamento delle persone per bene, dall’altro, aumenta il rischio dell’emulazione da parte di persone con sfrenate ambizioni e bieco arrivismo. Tutto ciò ne amplifica ancor di più il potere o meglio la sua percezione, e li porta ad una sorta di autoassoluzione. Questa autoassoluzione avviene soprattutto in certi personaggi della politica e, probabilmente, trae origine dal fatto che essi ritengono che le loro azioni, in fondo, producano solo del bene, dal momento che dispensano posti di lavoro, a tutte quelle persone che hanno contribuito a farli eleggere e che adesso sono sotto le loro ali protettive, purché disposti ad accettare il capovolgimento dei ruoli nella riconoscenza. Quel microcosmo di persone, che viene soddisfatto dalla loro “generosità” e che deve loro riconoscenza a vita, concorre con la sua testimonianza di fede a dare una spolverata alla loro coscienza. Non considerando, però, che i favoritismi fatti ai propri sostenitori, ai propri accoliti, finiscono con il penalizzare coloro ai quali quei posti di lavoro spetterebbero di diritto.
Sembra, a volte, che non abbiano la percezione del male che fanno. Infatti, non potrebbero condurre una vita apparentemente serena, dormire sonni tranquilli, se non possedessero almeno in parte questa convinzione: che il loro agire non sia dettato dal male. Accettano anche il disprezzo se questo ne aumenta il timore ed il rispetto.
Un loro ravvedimento non è da mettere in conto, perché anche solo un momento di cedimento farebbe crollare tutto il castello di menzogne e di malefatte, che costituisce la base del loro progetto di vita e della loro esistenza.
Ma, l’inganno per loro sta nel fatto di credere che quello che hanno costruito, il loro “impero”, sia il frutto di particolari doti personali, che pochi posseggono (anche se non possiamo negare l’esistenza di un “genio” del male), non capendo che altre doti, non solo morali, ma anche intellettive, sono necessarie per percorrere vie più nobili, come quelle della solidarietà e dell’altruismo, e che esse davvero non sono patrimonio di molti.
Per scegliere la via dell’avidità e dell’ingordigia basta mettere in gioco ed essere disposti a perderli: la decenza, il pudore, la propria onestà e soprattutto la propria dignità di uomo.