Guida per affrontare il tour di cenoni e pranzi, senza danneggiare la salute. Il rispetto della tradizione e i consigli dei nutrizionisti.
COSENZA – La Calabria è ricca di tradizioni e di cultura gastronomica e, nel caso delle festività in generale e quelle natalizie in particolare, tutte le ricette e i riti gastronomici nascono da storie e leggende stratificate nel tempo. Marino Niola, giornalista e professore di antropologia presso l’università di Napoli, a proposito delle abitudini gastronomiche natalizie, scrive che “… l’abbondanza nel Natale è parte del rituale. Non si può eliminare senza eliminare la festa stessa”. Affermazione questa che se riferita ai riti gastronomici della cucina natalizia calabrese appare assai pertinente. Dai primi piatti ai dolci finali ogni pietanza deve essere preparata con prodotti di provenienza locale (le nostre nonne applicavano il chilometro zero già decenni fa!) e seguendo nella maniera più rigorosa le ricette tramandate in famiglia dalla generazione precedente. L’unica diversità nasce solamente dalle trasformazioni o adattamenti che i piatti tipici hanno subito su tutto il territorio calabrese, creando delle differenze, anche nei nomi, avvenute nel tempo in luoghi e paesi distanti tra loro anche per pochi chilometri. Per tornare al professor Niola la questione posta è però un’altra: c’è un’aperta contrapposizione sui media (giornali, tv e web) tra chi afferma che anche in questi giorni di feste bisognerebbe essere moderati nel consumo di cibo o addirittura non consumare quelli più “grassi” e calorici e chi risponde che il Natale è rappresentato dalle tradizioni gastronomiche che, anno dopo anno e generazione dopo generazione, sono conservate e riproposte.
Per i rigidi cultori della tradizione, il cenone della Vigilia e il pranzo Natalizio successivo si presentano come vere e proprie maratone gastronomiche in cui guai a “restare indietro”, per non perdere la condivisione profonda dello spirito tradizionale della festa. Infatti, nella cena della Vigilia di Natale, in origine utile solo a interrompere il digiuno, secondo tradizione dovranno essere obbligatoriamente previste ben tredici portate, dagli antipasti ai dolci, preparate a lungo e accuratamente. Si partirà dagli antipasti, che spazieranno dai formaggi alle frittelle realizzate con pomodori, zucche e altre verdure, a quelle con il cavolfiore, o, in alcuni paesi della costa, a quelle di baccalà. Non manca la frittura di paste di farina lievitata, con o senza aggiunta di patate nell’impasto, con un eventuale ripieno di alici o sarde sotto sale, che nelle varie zone della Calabria assume nomi diversi (crispelle o grispelle o pitte fritte o cuddrurieddi o cullurielli). Si passerà, poi, ai primi come la pasta “mullicata”, preparata con mollica di pane fritta, acciughe o sarde, la pasta con frutti di mare o altri primi piatti tradizionali come gli spaghetti con broccoli e peperoncino o gli spaghetti con sugo di baccalà. E che dire dei secondi piatti? Un vasto assortimento di tutti a base di pesce (capitone, baccalà o altro), cucinati, naturalmente, senza risparmio di condimenti.
Il pranzo di Natale, invece è base essenzialmente di carne, con un primo costituito da pasta fatta in casa con ragù di carne o dalla pasta al forno preparata, come da tradizione, con uova, polpettine di carne, caciocavallo e sugo di pomodoro, con un secondo di capretto o agnello accompagnati da patate, legumi e ortaggi vari, carne di maiale arrostita oppure salsiccia e broccoli calabresi ripassati in padella con del peperoncino oppure lo sformato di carciofi e patate cotto al forno. I tanti dolci natalizi calabresi, poi, sono il trionfo della frutta, del miele, delle spezie profumate. Basta ricordare le crocette di fichi secchi, con cannella, noci, zucchero e scorzette di arancio, cotte al forno, e ricoperte di cioccolato o miele di fichi, i turdilli, dolci fritti, ricoperti di miele, i buonissimi torroni calabresi, le susumelle, i mostaccioli le classiche pitte ‘mpigliate di San Giovanni in Fiore e tanto altro ancora. Per una vasta schiera di nutrizionisti bisognerebbe, innanzitutto, ricordare che i giorni di festa, in realtà, sono solo quattro: il 24, 25, 31 dicembre e il 6 gennaio. Negli altri giorni sarebbe corretto astenersi dal consumare le stesse pietanze o i dolci natalizi utilizzandoli a colazione e come spuntino e aumentare l’attività fisica per smaltire le calorie in eccesso. Gli stessi nutrizionisti si lanciano anche in una serie di consigli di cucina che non sempre sono apprezzati e seguiti da tutti quelli coinvolti in questo delirio di cibo e festeggiamenti.
È consigliato, ad esempio, preparare il soffritto con del vino bianco, limitare l’uso del sale e utilizzando verdure e spezie per insaporire le pietanze, sostituire i condimenti grassi con spezie e funghi, succo di limone, aceto o limone per le verdure, preferire, ove possibile, le cotture al vapore, al forno o alla piastra rispetto al fritto e preparare dolci a base di frutta (macedonie, frutti di bosco) o yogurt magro, accompagnare il secondo piatto con abbondanti verdure crude e cotte, limitare il consumo di pane ed evitare di consumare formaggi dopo il secondo piatto. Bisognerà, come scrive Francesca Noli, biologa nutrizionista “semplicemente abituarci ad assaporare bene questi alimenti, con piena consapevolezza, come se li assaggiassimo per la prima volta. Questo ci permetterà – continua – di gustare i nostri cibi preferiti al meglio, senza eccedere troppo nelle quantità”. Senza arrivare agli ironici commenti del nostro professor Niola che afferma, tra l’altro, che tutti questi consigli rappresentano “un succedaneo della festa. Che ha tutto l’insapore delle cose che tentano di far fuori tradizioni ricche di storia in nome di una medicalizzazione dell’alimentazione che riduce il cibo a farmaco e la cucina a una fabbrica di malattie”, occorre dire che forse la verità come sempre sta nel mezzo. Si potrà, cioè, festeggiare, senza esagerare, assaggiare tutto quello che sarà proposto sulla ricca tavola, in quantità modiche perché bisognerà ricordare che il cibo è soprattutto un modo per esprimere e creare le relazioni sociali e che, come affermava Plutarco “noi non ci invitiamo l’un l’altro per mangiare e bere semplicemente, ma per mangiare e bere insieme”.