La ‘ndrangheta anche nell’emergenza Covid, su forniture sanitarie e tamponi: 6 arresti

I clan avrebbero avuto interessi nel settore della sanità lombarda, in relazione alle attività connesse all'emergenza sanitaria da Covid 19, con particolare riferimento a forniture di materiale sanitario ed esecuzione di tamponi

MILANO – La Dda di Milano a seguito di complesse indagini eseguite dalla Guardia di Finanza di Varese e Milano, ha eseguito 6 misure cautelari nei confronti di altrettanti soggetti ritenuti appartenenti ad un’associazione a delinquere finalizzata alla commissione di reati di natura economica che avrebbero agevolato la ‘ndrangheta, ed in particolare la locale di Legnano-Lonate Pozzolo e quella di Vibo Valentia.

Le indagini hanno consentito di individuare un sodalizio dedito all’acquisizione di società in stato di difficoltà economica che, una volta entrate nella sfera di operatività dell’organizzazione venivano portate a fallimento. Non prima però, di aver depauperato il patrimonio a danno dei creditori, primo tra tutti l’Erario, nei confronti del quale le imprese, si sono rese inadempienti

Dalle indagini inoltre, è emerso che i clan avrebbero avuto “interessi ramificati nel settore della sanità lombarda, in relazione alle attività connesse all’emergenza sanitaria da Covid 19, con particolare riferimento a forniture di materiale sanitario ed esecuzione di tamponi da parte di soggetti a ciò non professionalmente autorizzati”.

Grazie anche all’attività del Nas dei Carabinieri di Milano, sono state ricostruite “operazioni distrattive di denaro, per oltre 4 milioni di euro, dai conti correnti di tre società dichiarate fallite dai Tribunali di Milano, Bergamo e Monza”. Somme che, spiegano gli investigatori, “sono state successivamente drenate a favore di altre imprese del gruppo, anche localizzate in territorio estero, sotto forma di pagamenti di fatture per operazioni inesistenti”.

Uno dei presunti capi dell’associazione per delinquere avrebbe “agevolato le ‘locali'” di ‘ndrangheta “di Lonate Pozzolo e Vibo Valentia, “contribuendo al mantenimento finanziario di elementi di spicco delle stesse associazioni e dei loro familiari, nonché procurando falsi contratti di assunzione a familiari delle citate locali.

“Una prostituta in cambio di favori”

L’inchiesta dei pm Cerreti e Bonardi è nata da un primo capitolo del dicembre 2020 sulla gestione, ritenuta “opaca”, dei tamponi ai giocatori del Monza Calcio, che erano anche stati sequestrati. E che vedeva già al centro proprio Borelli (indagato), pregiudicato per bancarotta, e Cristiano Fusi (indagato), stimato primario della clinica monzese Zucchi e anche ex medico del settore giovanile del Milan, oltre che del Monza. E che aveva pure uno studio alla clinica milanese Madonnina. Borelli, secondo le indagini, avrebbe eseguito tamponi sia all’interno della Madonnina che per il Monza, pur non essendo nemmeno un medico. Tra i quasi 60 capi di imputazione contenuti nell’ordinanza, firmata dal gip Tiziana Gueli (la Procura aveva chiesto 19 misure cautelari, ma 6 sono stati gli arresti) c’è anche quell’incontro “organizzato” da Borelli e Fusi tra il manager di un istituto del gruppo San Donato e una giovanissima prostituta, pagata 500 euro, in un albergo di lusso di Milano. E ciò in cambio, scrivono i pm, della “utilità consistente nell’avvio di trattative” con l’istituto clinico “finalizzate alla stipulazione di contratti aventi ad oggetto la fornitura di materiale per Covid 19”, tra cui mascherine e camici. In una telefonata del settembre 2020 Fusi parlando con Borelli e riferendosi al manager diceva: “Lui è il principino ma … da oggi pomeriggio il principino è sotto scacco, eh?”. E una terza persona, che aveva contattato la ragazza e prenotato la camera d’albergo, diceva: “Speriamo! Dobbiamo chiudere l’operazione”. Tra l’altro, si legge ancora, questa terza persona, ossia Josef Amini, avrebbe anche avuto “documentazione fotografica dell’incontro da utilizzare per il conseguimento dell’utilità”. E scriveva in una chat: “Tranquillo esce con le ossa rotte”. E Fusi rispondeva: “hai foto?”. Nel corso del blitz di oggi la Gdf di Varese e Milano ha sequestrato anche 200mila euro in contanti ad uno degli arrestati, grazie ad un ‘cash dog’, ossia ad un cane addestrato, ed è stata trovata anche una lettera di sostegno a uomini del clan dei Mancuso.

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