REGGIO CALABRIA – Il sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà, di 40 anni, del Pd, attualmente sospeso in base alla “legge Severino” anche dalla carica di sindaco della Città metropolitana dopo una condanna per abuso d’ufficio, è stato rinviato a giudizio per lo stesso reato nell’inchiesta denominata “Miramare bis”.
Il rinvio a giudizio è stato disposto dal Gup di Reggio Calabria, Claudio Treglia, in accoglimento della richiesta del procuratore Giovanni Bombardieri e dell’aggiunto Stefano Musolino. L’inizio del processo è stato fissato per il prossimo 14 novembre. L’inchiesta che ha portato al nuovo rinvio a giudizio di Falcomatà,che è difeso dagli avvocati Marco Panella e Lorenzo Gatto, è collegata al primo processo “Miramare” a conclusione del quale il sindaco sospeso è stato condannato in appello ad un anno di reclusione. In quel processo, per il quale si attende ancora la pronuncia della Cassazione, il Comune di Reggio si sarebbe dovuto costituire parte civile per poter chiedere poi un risarcimento danni allo stesso Falcomatà. Ciò non è avvenuto perché, si afferma nel capo di imputazione, “in qualità di sindaco ed insieme di imputato”, Falcomatà avrebbe omesso “di astenersi dalla decisione inerente la costituzione”.
Perché Falcomata è accusato di abuso d’ufficio
Il nuovo processo a carico di Falcomatà è scaturito da una denuncia presentata nel maggio del 2022 dall’avvocato Italo Palmara, presidente del movimento “Reggio Futura”. Nonostante sia stato “reiteratamente sollecitato ad assumere determinazioni da personale dipendente e qualificato del Comune”, si afferma ancora nel capo d’imputazione, Falcomatà “non ha avviato la procedura per la nomina di un curatore speciale che avrebbe potuto costituirsi parte civile per conto del Comune nel processo Miramare”
Secondo la Procura, quindi, il sindaco Falcomatà avrebbe violato “l’articolo 78 del Testo unico degli Enti locali” in quanto “ha trattenuto a sé la decisione, non delegando a terzi la valutazione di assumere o meno l’iniziativa”. Da qui il reato di abuso di ufficio che, secondo i pm, sarebbe stato commesso “intenzionalmente” da Falcomatà, che così, “procurava a sé ed agli altri imputati, già componenti della Giunta comunale da lui presieduta, un ingiusto vantaggio patrimoniale, conseguente al mancato risarcimento del danno subito dall’ente, ed arrecava inoltre al Comune un danno ingiusto derivante dal mancato esercizio dei diritti e delle facoltà processuali dell’ente, nonché della mancata cura delle sue aspettative economiche”.