Dopo la morte di un detenuto l’azienda sanitaria smentisce il rischio di diffusione, mentre si chiede di vigilare e sanificare i locali.
CATANZARO – In merito alla presunta epidemia nella Casa Circondariale “Ugo Caridi” di Catanzaro, il Direttore generale dell’ASP di Catanzaro, Giuseppe Perri ha precisato che: “L’allarme lanciato dall’associazione Yairaiha Onlus è certamente eccessivo. Nella Casa Circondariale “Ugo Caridi” di Catanzaro non è, infatti, in atto alcuna epidemia. La morte del paziente, per “arresto cardiocircolatorio e shock settico da Clostridium difficile”, avvenuta dopo il ricovero nell’ospedale “Pugliese”, non ha provocato nessuna preoccupazione all’interno della Casa Circondariale, non essendosi verificata tra gli attuali ospiti alcuna condizione clinica che faccia pensare ad una diffusione dell’infezione. Il caso rimane pertanto isolato. Pur tuttavia l’Azienda Sanitaria Provinciale di Catanzaro nel momento in cui è venuta a conoscenza del decesso, ha subito attivato tutte le misure preventive che i casi del genere richiedono, attraverso il nostro Dipartimento di Prevenzione. L’area sanitaria della Casa Circondariale, comunque, continuerà a vigilare con particolare attenzione, così come ha sempre fatto, per garantire la tutela della salute dei detenuti”.
Una risposta che non ha soddisfatto gli attivisti dell’associazione Yairaiha che con una lettera indirizzata alle autorità chiedeva la sanificazione della casa circondariale e uno screening tra i detenuti. “Apprendiamo che l’ASP di Catanzaro – scrive in una nota l’associazione che da anni si occupa della tutela dei diritti dei detenuti – smentisce il rischio epidemia all’interno della casa circondariale di Catanzaro e che l’area sanitaria della stessa “continuerà a vigilare con particolare attenzione, come ha sempre fatto, per tutelare il diritto alla salute dei cittadini detenuti”. Sarà sicuramente vero che al momento non si è registrato nessun altro episodio ma non capiamo come si possa escludere il pericolo di un’epidemia o comunque di contagio, visto e considerato che: non si conosce neanche il tempo medio di incubazione del batterio del clostridium difficile; le spore del batterio sono altamente resistenti ai comuni disinfettanti e sono sempre più frequenti i casi di epidemie e contagio nelle strutture comunitarie (come attestano diverse fonti scientifiche, mediche ed i nostri consulenti sanitari); Rotella, (stando alla testimonianza del figlio e del legale di fiducia, stava già male quando è stato trasferito dal carcere messinese a quello catanzarese) durante l’ultimo colloquio con i familiari avvenuto il 20 febbraio scorso (quindi 6 giorni prima della morte), versava già in uno stato di debilitazione avanzata ed aveva difficoltà a stare in piedi.
É rimasto in queste condizioni, con cure sommarie per un’altra settimana fino a quando non è stato portato in ospedale a seguito delle “sollecitazioni” fatte dagli altri detenuti al personale penitenziario. Troppo tardi però, ormai non c’era più niente da fare, infatti è morto nel giro di poche ore. Ne deduciamo quindi che se l’area sanitaria del carcere avesse valutato con la dovuta scrupolosità e attenzione le condizioni del Rotella e fosse stato portato in ospedale per tempo debito probabilmente sarebbe ancora vivo. Inoltre, stando alle fonti mediche circa la pericolosità del clostridium difficile, nell’interesse e nella tutela dei detenuti, dei familiari, del personale e di quanti ogni giorno sono a contatto con i detenuti, vorremmo capire, pertanto, quali sono le misure di prevenzione messe in atto. Riteniamo, pertanto, che questa delicata e grave situazione non possa e non debba essere liquidata con una semplice nota in cui viene data qualche rassicurazione ma debbono essere poste in essere tutte le misure necessarie onde evitare che i rischi insiti nel clostridium difficile si diffondano. E non per lanciare allarmi “eccessivi” ma solo per scongiurare il pericolo di un’epidemia. Confidiamo molto nell’attenzione che l’onorevole Dieni e l’eurodeputata Eleonora Forenza, assieme al Garante nazionale dei diritti dei detenuti, Mauro Palma, stanno riservando al caso per far si che i diritti delle persone detenute vengano effettivamente tutelati. Non vorremmo, domani, dover scrivere di un altro Michele Rotella, di anni 75, morto per malasanità carceraria. Prevenire è meglio che curare”.