COSENZA – Un sistema al collasso. L‘elettroencefalogramma del bilancio è piatto. Che la sanità in Calabria, faccia acqua da tutte le parte
è noto e stranoto, che la qualità dei servizi assistenziali sia qualitativamente non da primato, lo si sa pure. Che i disagi ci sono stati e chissà, per quanto tempo ancora, ci saranno Il 2010, è anche questo è assodato. Ma c’è dell’altro e riguarda l’annus horribilis dell’Azienda sanitaria provinciale di Cosenza, che, come scrive il collega Pablo Petrasso, una delle prime firme di Corriere della Calabria, diretto da Paolo Pollichieni, si può riassumere in poche e sintetiche frasi: «L’Azienda ha fatto registrare una perdita di esercizio pari a 87.489.161 euro. Il direttore generale non ha indicato con rigore metodologico le cause della perdita né le modalità di copertura. La perdita di esercizio non era stata previamente autorizzata dalla Regione». È un’emorragia continua di denaro pubblico, con un debito in aumento impressionante: vale il 142% delle entrate, mentre il limite sarebbe fissato al 15%. La banca tesoriera ha un credito mostruoso nei confronti della più grande Asp della Calabria: più di 168 milioni di euro, impiegati non per riequilibrare situazioni di emergenza ma per pagare spese consolidate. Basta poco ai giudici contabili per tratteggiare un caos che si riverbera (anche) nel numero sproporzionato di conti correnti postali aperti – ben quattordici –, che complicano i controlli. D’altra parte, dando un’occhiata alle procedure, il collegio sindacale non ha potuto fare a meno di notare «molteplici violazioni di legge» nel sistema contabile. Non ce n’è una che vada secondo i piani. Soprattutto secondo il Piano di rientro, che prevedeva tetti di spesa ben precisi. E tutti sforati. A partire da quelli «per consulenze, studi, incarichi professionali» per finire ai costi di manutenzione e riparazione, che «risultano incrementati di circa il 24% rispetto all’esercizio precedente». Sono cresciuti del 62% quelli per la riparazione e la manutenzione degli automezzi, del 28% quelli per gli immobili e del 10% quelli per la riparazione di attrezzature scientifiche e sanitarie. Dietro queste cifre ci sono nomi e ditte precise, che fanno affari da anni con la sanità cosentina, ottenendo proroghe vantaggiosissime a prezzi maggiorati. Un modus operandi che sembra essere finito nel mirino della commissione di accesso antimafia che sta scandagliando i conti e i documenti dell’Asp. Sono gli affidamenti diretti il vero vulnus finanziario per l’Azienda. Decine di contratti chiusi senza passare attraverso la Stazione unica appaltante, rispetto ai quali i revisori dei conti sottolineano la «molteplicità di procedure d’acquisto». Due (o più) pesi e due (o più misure), come ai tempi in cui lo stesso apparecchio medico aveva prezzi diversi a seconda della latitudine in cui avveniva l’acquisto. In questo caso la latitudine è la stessa ma il prezzo cambia ugualmente. Come nel caso di un sistema integrato di infusione di insulina e monitoraggio glicemico: acquistato con due delibere, nello stesso giorno, ma a due cifre diverse: 10.484,85 euro e 11.161,34 euro. Un piccolo record tutto cosentino, che riporta le lancette dell’orologio sanitario indietro di qualche anno. Quando il Piano di rientro non c’era e la Calabria si scavava da sola la fossa del debito. Un ritorno al passato che si ripercuote sugli appalti, per via del quadro di «diffusa e perdurante illegittimità consistente nel ricorso ad affidamenti in proroga, rinnovi e affidamenti diretti giustificati con il riferimento a gare effettuate in anni pregressi, anche remoti». Come quella di risistemazione del presidio ospedaliero di Rossano, che risale agli anni 90 e ha fruttato, di recente, alla ditta che se l’aggiudicò, una revisione al rialzo del contratto per più di cinque milioni di euro. E meno male che c’è da tirare la cinghia. Tirando tirando, però …