COSENZA – Vicini alla svolta. Dopo anni di incertezza, indagini prolungate, tentativi di depistaggi, false voci e testimonianze traballanti,
pare che l’inchiesta sulla morte di Donato Bergamini, possa arrivare ad una svolta clamorosa. La svolta sulla l’indagine la riporta il collega Francesco Ceniti, una delle prime firme della Gazzetta dello Sport. La testardaggine di Donata Bergamini, sorella dello sfortunato calciatore del Cosenza, unitamente alla convinzione dell’avvocato Eugenio Gallerani, legale di fiducia della famiglia, mai rassegnatisi alla convinzione che Denis si fosse tolto la vita, hanno prodotto un significativo risultato: l’iscrizione nel registro degli indagati dei primi nomi degli assassini di Bergamini. Sì, gli assassini. Perchè il supplemento d’indagine, disposto nel giugno del 2001 dal procuratore capo della Repubblica di Castrovillari, Franco Giacomantonio, ha evidenziato, anche attraverso i minuziosi atti investigativi, effettuati dai carabinieri del Ris, dagli uomini della Benemerita del Comando provinciale di Cosenza, e dai detective dell’Arma di Castrovillari, che Donato Bergamini non s’è tolto la vita, ma è stato assassinato. Non solo. Dopo essere stato ammazzato, sarebbe stato gettato su quella lunga lingua d’asfalto di Roseto Capo Spulico, dove venne travolto dal camion in transito. Sin da subito, sia la sorella di Bergamini che gli amici e i compagni di squadra del calciatore, non hanno mai creduto al suicidio di Denis. Una pista che è stata sempre scartata dagli stessi e bollata come impossibile. Ma le indagini, le versioni, le testimonianze, i fatti, raccolti quella sera di quel tragico 18 novembre del 1989, hanno sempre raccontato un’altra verità. Semplice, quanto affrettata: il suicidio. In nome di Donato Bergamini e nel chiedere la verità sulla sua morte, nel corso di questi lunghissimi anni, sono stati organizzati manifestazioni, sit in, ma anche gruppi di protesta che si sono moltiplicati sul più famoso social network al mondo. La pressione dell’opinione pubblica, le reiterate richieste della piazza, le insistenze della famiglia, la perseveranza dell’avvocato Gallerani a non voler far spegnere le luci dei riflettori sull’inchiesta, hanno convinto nel giugno del 2001 il capo dei pm di Castrovillari, a riaprire il caso. Cercando una verità definitiva e certa, non suilla base dell’ipotesi investigativa del suicidio, ma sulla certezza di un omicidio. Spietato e calcolato nei minimi dettagli, nonchè “coperto” da una lunga scia di messinscena studiate a tavolino da chi ha sempre voluto coprire le sue responsabilità. Oggi, per fortuna, non è più così. Sull’inchiesta ora compaiono in calce i nomi e i cognomi di chi ha avuto un ruolo attivo nell’esecuzione dell’omicidio di Donato Bergamini e nella produzione di prove a tesi del suicidio. Macchinazioni e depistaggi che sono stati scoperti, così come sono stati scoperti i responsabili, sui quali pende più di un indizio di colpevolezza. Ora la mossa è nella mani della Procura che, a seconda della gravità delle carte e degli indizi in mano, deve optare la sua scelta: quella dell’interrogatorio o quella dell’arresto. Lo sapremo a breve. Insomma a distanza di 24 anni di attesa, la verità sulla morte di Bergamini è destinata ad essere raccontata.