Trebisacce: nuovi riscontri dei Ris nella casa dell’orrore

COSENZA – La casa racconta. L’orrore. Non è il titolo di un giallo, nè la trama di un film, è la storia che la casa dell’orrore di Trebisacce sta raccontando agli inquirenti, per fissare nuovi paragrafi nella ricostruzione dell’omicidio di Riccardo Chiurco, stordito, ammazzato e fatto a pezzi dalla figlia Stefania, la 38enne rinchiusa da una settimana nel carcere di Castrovillari, con l’accusa di parricidio. Nonostante la la studentessa universitaria fuori corso, iscritta alla facoltà di Medicina di Perugia, continua a dichiararsi colpevole solo di aver “sezionato” il padre ma non di averlo ucciso, la scena del crimine racconta un’altra verità. Una verità pesante che inguaia la 38enne. I Ris di Messina, dopo aver ispezionato da cima a fondo ogni singolo millimetro dell’appartamento, sono ritornati nella casa dei Chiurco per effettuare nuovi sopralluoghi. Ancora una volta il luminol ha fatto scovare nuove tracce di sangue, impercettibili ad occhio nudo, ma evidenti per i sofisticati mezzi investigativi. La casa, infatti, racconta la scia dell’orrore, un orrore che ha vagato come un demone per l’appartamento, un demone assetato di sangue e affamato di vendetta. Un demone che ha pianificato il delitto, covandolo forse per mesi e mettendolo in pratica, non solo con sanguinaria freddezza ma anche con lucida follia. Gli indizi raccolti dagli specialisti del Reparto investigazioni scientifica, raccontano che l’omicidio dell’insegnate 72enne, nativo di San Demetrio Corone, ma residente da una vita a Trebisacce, non è stato un delitto d’impeto, ma un’esecuzione. Un’esecuzione alla quale, come è emerso dall’autopsia, il pensionato ha assistito, legato ad un sedia, picchiato selvaggiamente sul corpo e sulla testa, con tanta violenza ed altrettanta precisione, fino a sfondargli il cranio e spappolargli il cervello. Le tracce di sangue inchiodano Stefania, gli indizia anche, il resto della storia, un evento finora mai verificatosi in Calabria e nella provincia di Cosenza, è scritto nella personalità bordeline della 38enne. I carabinieri del comando provinciale di Cosenza, coordinati dal colonnello Francesco Ferace, in collaborazione con i militari dell’Arma della Compagnia di Corigliano, i detective della Benemerita di Trebisacce e i Ris, hanno “ascoltato” anche l’abitazione di Perugia. Altro luogo simbolo per capire meglio i passaggi di questi delitto. Proprio dalla città umbra vengono fuori altri dettagli. Non solo quei fogli e quegli appunti trovati nella casa della 38enne, con su scritti soldi e probabili movimenti bancari, ma anche per quella sua schizofrenia, trattata dai medici perugini nel 2006, apparentemente controllata da psicofarmaci, ma sicuramente non curata. Stefania, secondo gli inquirenti, era una bomba ad orologeria, pronta a detonare rabbia e violenza in qualunque momento. La sua esplosione è legata, sempre secondo i carabinieri, a quel rapporto conflittuale con il padre, alla gelosia che Stefania provava per quella donna che s’era avvicinata a suo padre e, soprattutto, alla paura che la sua fetta d’eredità potesse svanire. Lei è ancora in carcere, sorvegliata a vista. I carabinieri entrano ed escono dalla casa di Trebisacce. La scena del crimine ha ancora altro orrore da raccontare. Purtroppo.

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