COSENZA – “Se avessimo saputo cogliere i segnali del suo disagio interiore, se avessimo saputo interpretare i suoi silenzi o se le avessimo
detto, Anna, noi ci siamo se vuoi, oggi Anna sarebbe ancora con noi”. Non riescono a darsi pace i colleghi dell’Ubi banca, dove Anna Curatolo lavorava. La notizia della sua morte tragica, misteriosa e al tempo stesso tremendamente solitaria, ha fatto raggelare a tutti il sangue nelle vene. Negli occhi dei colleghi della 55enne si legge il dolore, ma anche l’impotenza di non essere stati in grado di darle una mano, forse di salvarle la vita. L’ultima volta che i suoi colleghi l’hanno vista è stata il 15 gennaio. “Il giorno seguente – ricorda qualche collega – avvisò che era malata, aveva la bronchite”.Poi il 23, i colleghi non vedendola, nè sentendola, si sono iniziati ad allarmare e dopo aver composto e ricomposte decine e decine di volte il numero di casa e il suo cellulare, decisero di andare a casa. Bussarono fino a consumarlo il campanello, ma niente. Nessuna risposta, nessun rumore, provenire dall’interno. pensando a qualcosa di grave, hanno allertato la sala operativa del 115. I vigili del fuoco, dopo aver forzato la porta, sono entrati in casa. Le stanze erano vuote, gli armadi chiusi, nessun disordine, nè un biglietto o altro che faccia pensare quindi ad una partenza. L’associazione con il corpo ritrovato il 19 fra gli scogli di Reggio Calabria è immediata. Descrizione e età coincidono e dopo le prime verifiche già nella tardissima serata di mercoledì 23 si è quasi sicuri che si tratti di lei. L’indomani un ex direttore di filiale a Cosenza, ora Reggio, si reca all’obitorio per il riconoscimento. Un congiunto della 55enne che vive fuori città è stato informato della tragedia, e ora si aspettano gli ultimi riti ufficiali e l’autopsia per capire le cause della morte. Fin dal ritrovamento del corpo si notava l’assenza di evidenti segni di violenza, particolare che ha fatto pensare ad un suicidio. Ancora i colleghi non ci credono. “No, Anna non si sarebbe mai suicidata. La sua fervente fede glielo avrebbe impedito, non avrebe mai fatto un torto così grande a Dio”. I colleghi sperano, o forse si illudono, che sia morta per un malore. Improvviso e crudele. Ma quest’ipotesi traballa, non regge. C’è quel viaggio fino a Reggio Calabria che lascia perplessi. Senza fiato e senza parole, come sono oggi, più di ieri, i suoi colleghi. Era una donna seria e molto riservata, chi la conosce la descrive come una donna di una volta, “tutta di un pezzo”, molto religiosa anche per via di una formazione molto rigorosa. Al momento del rinvenimento del corpo fra gli scogli della via marina le avrebbero trovato addosso infatti una collanina e un portachiavi con delle effigi religiose, ma nessun documento. Aveva la patente ma non guidava, non usciva spesso se non per cenare, visto che non amava cucinare. Manteneva rapporti con poche fidate persone. Poco più che diciottenne vinse brillantemente il concorso in banca e iniziò ad affrancarsi da un passato di solitudine, contando per decenni solo sulle proprie forze e su una fede incrollabile. Chi la conosceva bene non si rassegna all’idea, non riesce a trovare un perché. Lavoratrice responsabile e disponibile con i colleghi, sapeva mostrarsi dolce e remissiva nella routine di ogni giorno. Anche se non era la prima volta che si isolava per qualche giorno e anche altre volte si era mostrata smemorata e taciturna, si è sempre dimostrata abbastanza forte per rialzarsi dalle cadute della vita. “Cara Anna, riposa in pace e se puoi, perdonaci”.
(Voglio ringraziare i colleghi di Mmasciata e il direttore Alfredo Sprovieri, non solo per la citazione sul loro portale, ma per il fattivo contributo offertoci nel reperire le notizie).