COSENZA – Anche l’Appello conferma le accuse. Quello di Cicero è un clan. S’è chiuso, con la conferma delle condanne, inflitte in primo grado,
ai componenti del clan Cicero, operante in città e, capeggiato secondo l’accusa della Dda di Catanzaro, da Domenico, il processo di secondo grado per l’inchiesta “Anaconda”. I giudici di Catanzaro, ritenendo valide le motivazioni di colevolezza dei loro colleghi di Catanzaro e ritenendo attendibili le argomentazioni accusatorie dei magistrati del pool dell’antimafia catanzarese, hanno confermato le dodici condanne, infliggendo pene per ben ottantadue anni di carcere. Per Domenico Cicero, considerato dagli inquirenti e dai magistrati della Dda di Catanzaro, il capo dell’omonimo clan, l’Appello s’è chiuso con la conferma della condanna a 15 anni. Come aveva richiesto in sede di requisitoria il sostituto procuratore generale di Catanzaro, Eugenio Facciolla, i magistrati dell’Appello hanno anche confermato le pene anche per Osvaldo Cicero (9 anni), per Francesco Cicero, alias “u pirata” (8 anni e 4 mesi), per “Vincenzo Candreva (11), per Giampiero Stellato (8 anni e 4 mesi), per Giuseppe Perna (9 anni e6 mesi), per Gerardo Zazzaro (8 anni e 4 mesi). Conferma di condanna, anche, per Orlando Baleno (4 anni e 4 mesi), per le sorelle Katia e Vanessa Greco (rispettivamente 4 anni e 4 mesi e 3 anni e 10 mesi), per Ippolito Grandinetti (8 mesi) e per Vincenzo Scornaienchi (1 anno). La Provincia di Cosenza, la Regione Calabria e alcune agenzie assicurative sono entrate nel processo come parti civili. Il processo, giunto alla sua seconda verità dibattimentale, prende il via dall’inchiesta “Anaconda”, la maxi operazione antimafia della Dda di Catanzaro che, l’11 giugno del 2008, portò polizia e carabinieri a cingere d’assedio il quartiere di San Vito, per smantellare la cosca e ridare quella fetta di territorio al controllo dello Stato. Secondo l’impianto accusatorio della Dda di Catanzaro, nel quartiere di San Vito, così come in alcuine zone limitrofe cittadine, operava l’associazione di tipo mafioso, riconducibile ai condannati, che si occupava di usura, estorsioni, abusiva attività finanziaria, detenzione di armi, nonchè del controllo economico di alcune attività commerciali. Tra le voluminose pagine dell’inchiesta “Anaconda”, c‘è anche il giallo della scomparsa di Angelo Cerminara. La Dda è convinta che a “farlo fuori” con la tecnica della lupara bianca sono stati Domenico Cicero e Vincenzo Liberato Candreva. I due, ora alla sbarra al processo d’Appello, hanno in tasca un verdetto di assoluzione, emesso dai giudici della Corte d’Assise di Cosenzam, il 6 maggio dello scorso anno. Ritornando alle condanne di secondo grado, il nutrito collegio difensivo degli imputati, composto da: Amelia Ferrari, Riccardo Panno, Vincenzo Adamo, Paolo Pisani, Roberto Le Pera, Enzo Musco, Giovanni Cadavero, Giuseppe Di Renzo, Linda Biscoglia e Cristian Bilotta, promette battaglia, annunciando la ferma intenzione di ricorrere in Cassazione. Durante le arringhe, i penalisti avevano chiesto alla corte l’assoluzione dei loro assistiti o, in subordine, un ridimensionamento delle condanne di primo grado. Non sono stati accontentati.